Una visita a Coimpresa
I giorni scorsi ho richiesto un colloquio con i responsabili di Coimpresa per sentire anche il loro punto di vista così come è d’obbligo in una storia così complessa e piena di sfumature impensabili quali questa vicenda di Tuvixeddu (a quando un colloquio col Sindaco e col Governatore Soru? Ci spero sempre). Ho potuto così incontrare il geom. Beppe Piras, braccio destro dell’ing. Cualbu, “memoria storica” di Tuvixeddu e vero gentleman d’altri tempi.
In una chiacchierata di oltre un’ora mi ha raccontato per sommi capi, vista la complessità della storia, i dati salienti con notevole chiarezza, rispondendo a tutte le mie domande e, sempre, spiegando dettagliatamente le affermazioni ed i concetti espressi.
Ho così ascoltato tutta la storia di Tuvixeddu, un rapido excursus dall’inizio del 900 ai giorni nostri e, confesso, alcune cose mi erano sconosciute ed altre le conoscevo diversamente.
Ciò che mi ha piu’ colpito durante tutto il colloquio è stato il concetto di “progetto” dell’area. Mi spiego meglio: solitamente un piano edificabile è sempre incentrato su un concetto di edificazione e , rarissimamente, sul concetto di area in cui insiste un’edificazione.
Il progetto Coimpresa vede, oltre all’edificazione vera e propria, l’idea della valorizzazione dell’area circostante; in sintesi si tratta di una valorizzazione globale l’area in modo tale che vi sia un insieme armonico in cui vadano a coesistere due realtà diametralmente opposte tra loro ma, per molti sensi, complementari.
Per questo esiste un progetto, tra l’altro condiviso ed approvato sia dalla parte pubblica che da quella privata (leggi Regione, Comune e Coimpresa), giudicato, anche al di fuori del mero accordo programmatico, un progetto innovativo che ha tenuto conto del concetto (che spesso sfugge ai tanti “esperti di Tuvixeddu”) di simbiosi; tale affermazione è comprovata dal fatto che questo progetto (realizzato dalla MDC Architetti) è citato quale esempio di inserimento edilizio in una situazione paesaggistica. Un bell’esempio di fatti concreti, non si può dire altrettanto su coloro che hanno scatenato una vera e propria guerra di disinformazione sul progetto di Tuvixeddu, limitandosi, in ultima analisi, a chiacchere piu’ o meno sensate e senza proporre nessuna alternativa pratica.
Dal punto di vista ambientale, inoltre, il progetto è incentrato in quel 20% di area del totale dove è assodato che non esiste nulla di interesse archeologico o paesaggistico; in pratica l’edificazione è incentrata nell’area già rasa al suolo da anni dalle cave, mentre il restante 80% è stato ceduto come area di interesse pubblico per la realizzazione del Parco Archeologico.
Per quanto riguarda l’impatto paesaggistico, che è stato verificato e riverificato da tutte le autorità preposte a tali verifiche, è minimo (in rapporto all’edificazione) e, per verificare questo basterebbe dare un’occhiata al plastico oppure alle simulazioni in 3D fatte sulle immagini satellitari dell’area.
Si fa tanto parlare dell’articolo della Legge Urbani che vieta l’edificabilità entro 100 metri dai luoghi di “pubblico interesse”; applicandola veramente a Cagliari non si potrebbe piu’ costruire nemmeno una cabina telefonica; è ovvio che tali leggi devono essere interpretate in modo che siano funzionali alle realtà locali e non d’intralcio allo sviluppo. Non vorrei che tale legge venisse utilizzata a fini strumentali estranei al suo spirito; basti pensare al fatto che non sviluppandosi l’edilizia, si favorisce l’aumento dell’offerta in funzione dell’aumento della richiesta (semplice legge di mercato e questo, di tanto in tanto, a qualcuno sfugge), Il fatto che al vincolo sia sfuggita la zona di Santa Gilla (sino alla strada ferrata) pur essendo di interesse archeologico e paesaggistico ed in questa zona debba sorgere la lottizzazione “I Fenicotteri” con palazzi da 8 piani, potrebbe dare la stura a tutta una serie di congetture. Ma di questo ne parleremo in altra sede, torniamo a Tuvixeddu….
Si è, ovviamente, toccato tutta una serie di argomenti che abbracciano tutta la storia, compreso il fatto che, a causa del tipo di blocco di lavori, Coimpresa non puo’ mettere in cassa integrazione i lavoratori del cantiere; per il momento sono stati messi in ferie, finite queste verranno licenziati. Questa affermazione è stata fatta con una nota di amarezza nella voce. Già perché, per quanto possa sembrare strano, in questa società si dà una grande importanza alle persone che ci collaborano, come, d’altronde, un grande capitano d’industria come Henry Ford ha sempre sostenuto, che la vera forza della Ford era la gente che ci lavorava dentro. Quindi, a breve termine, vi saranno parecchie persone che resteranno senza stipendio e sarà interessante vedere cosa succederà e cosa diranno i “saggi” (che di stipendi ne hanno, come minimo, uno. Sicuro) per quanto riguarda il destino di queste persone dimenticate dai media, anche se forse sono stati dimenticati “ad arte”….
Durante il colloquio si è evidenziata la determinazione, da parte di Compresa, di voler andare avanti nel progetto, con la certezza di essere dalla parte della ragione. Ovvio che un’affermazione del genere deve essere convalidata da fatti e, di fatti me ne sono stati mostrati in quantità: carte che comprovano l’assoluta legalità degli accordi presi da tutte le parti in causa, controlli effettuati a norma di legge, rispetto assoluto delle normative vigenti sia in epoca pregressa che attuale ed anche altre carte, abbastanza inquietanti, che facenti parte di tutta la procedura di ricorso, non ho l’autorizzazione a citarne, per il momento, il contenuto. Pareri normativo-legali in quantità, pareri giuridici sino al livello di costituzionalità di interpretazione dell’applicazione di leggi. Una marea di carte da dove si deduce che qualche ragione l’hanno.
Mi è comunque parso di capire che, (mi è stata sottolineato piu’ volte “come remota ipotesi”) in caso di soccombenza non è detto che Compresa sia disposta a vendere. Cio’ non per un atto di ripicca, bensi’ perche’ e’ loro intenzione andare avanti con questo progetto.
Alla mia domanda: perché? Il geom. Piras mi ha risposto, sorridendo: Perché ci crediamo.
Sicuramente dopo questo articolo verrò messo nella lista (nella migliore delle ipotesi) dei “pro-Cualbu” . Pazienza.
Cio’ che mi ha realmente impressionato è stato trovarmi davanti a delle persone che credono fermamente in un progetto e vogliono andare avanti, nonostante si sentano accerchiati ed attaccati un po’ da tutte le parti; vedono la situazione come un sopruso ed avendo una notevole solidità economica alle spalle, possono permettersi di andare avanti (e degli altri imprenditori che si sono visti chiudere i cantieri e non hanno i capitali di Coimpresa che ne sarà?). Considerando da quando hanno iniziato questo progetto riesco a capire il loro punto di vista che, ho l’impressione, trascenda un tantino dal semplice binomio costruisci & vendi; oltre dieci anni di lavoro vanno ben oltre il mero guadagno, diventa una cosa personale….Capisco.
Su tutto ho apprezzato il fatto che Coimpresa, ritenendo di aver ragione, ha anticipato che la RAS sarà costretta a pagare un notevole mucchio di soldi di danni (bocca cucita sugli importi per il momento) e questo a loro non sembra giusto, poiché tale costo andrebbe a gravare, in ultima analisi, sulle tasche dei cittadini, per cui faranno di tutto, in caso di vittoria, affinché paghino personalmente i responsabili di questa vicenda (e questo anche in base alla legge della Corte dei Conti della responsabilità oggettiva negli atti pubblici). E questo, permettemi, è avere rispetto della collettività.
Nessun commento:
Posta un commento