04 dicembre 2008

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07 ottobre 2008

Tuvixeddu: Il Ministro Bondi dice a Soru: trovare un'intesa

Oggi è avvenuto l'incontro tra il Ministro ai Beni Culturali Sandro Bondi, il Presidente della Regione Sardegna Soru ed il Sindaco di Cagliari Floris
Ovviamente l'argomento dell'incontro è stato quello sulla tutela di Tuvixeddu
Il Ministro Bondi ha sottolineato la necessità di prestare si, la massima tutela sull'area ma, nel contempo, ha invitato il Presidente Soru a trovare un'intesa con le imprese private interessate dall'accordo di programma del 2000.
Questo sta a significare, in parole povere, che la strada dei vincoli imposti (ed inventati) è diventata impercorribile.
Staremo a vedere.

05 ottobre 2008

Nuraminis: Le strane storie delle cave/5 (di Giorgio Ghiglieri)


Bia Segariu: L'epilogo (?)
Nell'ultimo articolo sulla vicenda della cava di Bia Segariu ci si fermava al decreto di sospensione dell'attività di cava effettuato dal Corpo Forestale e notificato al Comune di Nuraminis con lettera indirizzata alla stessa in data 14/08/2008. Tale decreto si basava sulla violazione degli articoli 19,20,21 e 42 della L.R. 30 del 07/06/1989 e relativo ricorso al TAR da parte della ditta Locci, titolare dei permessi di estrazione della cava di Bia Segariu.
Le situazione è rimasta in stallo per circa un mese sino a quando, il 13 settembre la scavatrice della ditta Locci ha ripreso i lavori quasi all'altezza della cima di Monte Crucuris. Lavori che non sono passati inosservati e sono stati subito segnalati al Comune di Nuraminis e al Corpo Forestale che hanno provveduto subito a monitorare la situazione.
Nel frattempo ho cercato di ottenere delle dichiarazioni da parte dei responsabili della ditta Locci i quali, dopo aver rinviato (per oltre due mesi) di settimana in settimana l'appuntamento, alla fine mi hanno comunicato la loro decisione di non rilasciare alcuna dichiarazione sino a quando la situazione, dal punto di vista legale, non sarebbe stata più chiara.
L'altro attore di questa vicenda, ovvero il Comitato per la difesa di Monte Crucuris, nella persona del prof. Carmelo Spiga non ha ritenuto importante rilasciare dichiarazioni o interviste (cfr. mail del 08/09/2008).
Al contrario,l'Amministrazione comunale di Nuraminis mi ha fornito l'ulteriore documentazione che mi ha permesso di ricostruire gli avvenimenti di questa vicenda sino ad oggi.
Mentre la scavatrice della ditta Locci continua i lavori sul costone del monte, in data 18/09/2008 l'Amministrazione di Nuraminis riceve una lettera, per conoscenza, destinata all'Assessorato all'Industria della RAS con oggetto:"Piano integrato per risanamento e valorizzazione di Monte Crucuris nel comune di Nuraminis" a firma del prof. Carmelo Spiga quale portavoce del "Comitato per la difesa del Monte Crucuris".
Questo è, in sintesi,il contenuto:
"L'intervento del comitato è finalizzato alla composizione pacifica e ragionata in ordine agli interventi nell'area così pesantemente deturpata. La popolazione rivendica il doveroso e legittimo diritto dell'informazione su fatti di tale portata perciò chiede al sindaco di essere informato su tutti gli sviluppi della vicenda anche per dare un supporto qualora le circostanze lo richiedessero, Si fa presente che in data 14/06 u.s. è stato presentato il libro "Villa dei Greci".....da cui si evince con dovizia di documentazione scientifica che l'area comprendente monte Crucuris è di primaria importanza archeologica oltrechè ambientale.
Si lamenta la mancanza di interessamento da parte delle associazioni preposte alla tutela del territorio e del patrimonio archeologico.
Tenuto conto che sia la zona in questione che l'intero comune di Nuraminis non ha mai beneficiato di interventi di rimboschimento e la zona si caratterizza come semidesertica, si avanza la proposta di un piano integrato di interventi che veda coinvolti la RAS, il comune di Nuraminis, la ditta F.lli Locci (titolare della cava), la Soprintendenza, le associazioni ambientaliste al fine di valorizzare l'intera area comprendente Su Padru, Monte Crucuris, Serra Cannigas e Sa Corona. Il discorso delle responsabilità non fa parte degli interessi immediati del comitato. A firma del portavoce del comitato Carmelo Spiga.".
Per dovere di cronaca sarà bene sottolineare alcune cose:
1- Il comitato risulta essere spontaneo, ovvero senza alcuna valenza legale.
2- Dalla documentazione ufficiale esistente su studi effettuati delle aree archeologiche nel territorio, non risulta assolutamente nessuna valenza archeologica nell'area della cava.
4- Propone un piano di valorizzazione che esula completamente dall'emergenza affrontata con Bia Segariu, allargando l'ipotetico piano di intervento ad aree estranee alla vicenda della cava.

In data 19/09/2008 la Ditta Locci fa pervenire all'Amministrazione di Nuraminis (cfr da ditta F.lli Locci a Assessorato Industria e p/c Comune di Nuraminis) una lettera dove, in sintesi, dice che durante i lavori di gradonamento (nella parte alta di Monte Crucuris) oltre al materiale terroso si è dovuto procedere all'abbattimento di un blocco di materiale argilloso che porta intralcio allo svolgimento del lavoro, quindi quest'argilla, nella fase transitoria dei lavori, verrà conferita alla bonifica presso la discarica industriale della Syndial a Macchiareddu (con cui hanno già un contratto di bonifica, ragione dell'esistenza della cava di Bia Segariu) e concludono appellandosi alla valenza di interesse pubblico del loro lavoro il quale, se interrotto, provocherebbe un grave danno economico non solo alla società (non viene specificato se per società si intenda solo la ditta F.lli Locci o la comunità e, se è così, quale).

Nota: Il precedente decreto di sospensione dell'attività di cava prevede, oltre al fermo dei lavori estrattivi, il divieto assoluto di portare fuori dalla cava il materiale estratto e la sua commercializzazione.

Vien da sè che, in base a questa normativa, il Corpo Forestale, monitorizzando quotidianamente i lavori, non appena intercetta un camion carico di argilla che esce dalla cava, lo blocca e mette sotto sequestro sia i mezzi meccanici che la cava, come risulta da lettera inviata all'Amministrazione di Nuraminis in data 23/09/2008.
Il giorno dopo (24/09/2008) l'avvocato Andrea Pubusa (legale della ditta F.lli Locci) invia una istanza di dissequestro della cava di Bia Segariu e dei mezzi meccanici facendo presente di aver inviato il ricorso al TAR per il provvedimento di sequestro e richiede il dissequestro dei mezzi meccanici (autotreno IVECO e scavatrice). Fa inoltre presente che il sequestro ha interrotto la messa in sicurezza del costone che è a rischio frane.
L'aver indirizzato questa istanza al Sindaco di Nuraminis ha la sua ragione di essere in quanto, in base alla L.R. del 2006 le competenze sanzionatorie e la gestione dei sequestri effettuati dal Corpo Forestale vengono gestiti dall'Amministrazione Comunale competente per territorio.
In base a questa normativa, il Sindaco di Nuraminis sta predisponendo un'ordinanza di dissequestro del camion (ndr: il camion appartiene ad un padroncino che è stato ingaggiato dalla ditta F.lli Locci per i trasporti, quindi estraneo alla vicenda) e, per quanto riguarda la scavatrice subordinarne il dissequestro al lavoro da svolgere sul costone.
Ossia, speiga il Sindaco Luciano Cappai, se la scavatrice deve essere dissequestrata affinchè essa debba essere utilizzata per mettere in sicurezza il costone, l'ordinanza prevederà il dissequestro, diversamente no.
In data 29/09/2008 la ditta F.lli Locci invia all'Amministrazione Comunale una lettera in cui, a causa del sequestro della cava e dei mezzi, quindi al blocco totale della cava, declina ogni responsabilità in merito a qualsiasi danno a cose, persone o animali dovuti alla possibilità di frane.
In data 02/10/2008 vi è stata un'ispezione da parte dei tecnici dell'Assessorato all'Industria della RAS per verificare il rischio concreto di frane e decidere quindi il da farsi, ispezione effettuata insieme ai tecnici dell'Amministrazione Comunale di Nuraminis.
Nel frattempo il Sindaco sta approntando un'ordinanza che obbliga la Ditta Locci alla recinzione completa della cava, l'apposizione dei regolamentari cartelli di indicazione di pericolo e l'immediato gradonamento della parte superiore del colle e ripiantumazione della stessa area. Mi spiegava il Sindaco che si è deciso di far iniziare i lavori dalla parte alta del colle perchè, in caso di piogge continue diventerebbe pericoloso lavorare sulla parte alta e, non iniziando i lavori dalla parte alta, risulterebbe impossibile realizzare correttamente i lavori di messa in sicurezza della cava. Con tutti i rischi che una mancata messa in sicurezza comporterebbe.
Questa la situazione ad oggi della cava di Bia Segariu.
C'è da dire che il 10 ottobre il TAR dovrà emettere la sentenza sul blocco della cava ed annullamento del permesso di cava attuato dal Corpo Forestale. In qualsiasi caso le parti potranno rivolgersi al Consiglio di Stato per un eventuale ricorso; questo comporterebbe un ulteriore allungamento dei tempi in caso di irrigidimento delle posizioni delle controparti e, nel frattempo l'autunno avanza e con esso la stagione delle piogge, aumentando i rischi di frane e spostamento a valle del materiale terroso depositato ai piedi di monte Crucuris.
Restiamo in attesa della sentenza del TAR al riguardo, sperando che non si debba ricorrere al Consiglio di Stato, che la stagione delle piogge arrivi il più tardi possibile e che la ditta F.lli Locci metta definitivamente in sicurezza il sito nel più breve tempo possibile. Diversamente ci si potrebbe trovare a dover fronteggiare qualcosa di più grave di una cava abbandonata.
(Giorgio Ghiglieri)

29 settembre 2008

E a dir di Tuvixeddu... (di Giorgio Ghiglieri)

A poco più di dieci anni di distanza dalla mostra "Tomba su tomba", la Soprintendenza Archeologica di Cagliari ha presentato, il 27 settembre, la mostra: "E a dir di Tuvixeddu".
L'esposizione, sita al terzo piano del Museo Archeologico di Cagliari, presenta il risultato di oltre dieci anni di lavori effettuati dalla Soprintendenza Archeologica che, in questo modo, risponde con i fatti alle tante accuse che le sono state mosse.
La mostra, che resterà aperta sino al 31 marzo del 2009, ripercorre, per aree di scavo, gli scavi e i ritrovamenti effettuati nell'area. In una cornice fatta di fotografie aeree e tavole con disegni, grafici e didascalie, nelle teche del museo sono esposti dei pregevolissimi reperti fenicio-punici e romani di una bellezza unica.
Dai cocci anonimi ai gioielli, dalle anfore agli amuleti, tutti i reperti sono incastonati entro un commento grafico-lessicale che ne descrive il luogo di ritrovamento e loro storia.
Frammenti di antico che ritornano nel nostro presente per ricordarci la nostra storia e farsi ammirare nella loro millenaria bellezza accentuata dal fatto che i reperti esposti non sono stati restaurati ma portano con loro ancora la terra delle tombe da cui provengono.
La visita della mostra è, comunque, un fatto assolutamente emozionale: la visione di una bellezza senza età rimasta per secoli sepolta sotto l'indifferenza (ed i rifiuti) che hanno ricoperto il colle sino ad una decina di anni orsono.
In tutta la mostra traspare il lavoro svolto da tutto il personale della Soprintendenza: dagli archeologi ai disegnatori, dai geologi agli operai. Tutti hanno lavorato duro, spesso in condizioni precarie, ed il risultato messo davanti agli occhi dei visitatori ripaga abbondantemente dalle fatiche di tutti i generi che il personale della Soprintendenza Archelogica ha dovuto affrontare nel corso dei lavori di scavo.
Ma questa mostra non è soltanto un momento di ammirazione dei reperti riportati alla luce, è anche un momento di riflessione e comprensione dei fatti che attorniano ed accompagnano questi reperti.
Fatti che sono molto confusi con notizie prive di supporto, numeri sparati a caso, confusione di competenze.
Partendo proprio dalle competenze, la Dr.ssa Lo Schiavo, Soprintendente ai Beni Archeologici, ha iniziato nella mattina di sabato, la conferenza stampa-dibattito sulla presentazione della mostra.
La prima cosa specificata dalla Lo Schiavo è stato l'ambito delle competenze proprie della Soprintendenza Archelogica: solo archeologia.
Tutela e scavo archeologico e non paesaggio, ambiente, urbanistica, giurisprudenza e politica.
La S.A. si occupa della tutela della cosa, dove per cosa si intende il reperto archeologico, del suo scavo e della sua catalogazione. Il resto, dice chiaramente, è compito di altri enti.
Nella perenne diatriba sulla tutela delle aree archeologiche ha ricordato come, anche nel passato, i Soprintendenti abbiano sempre segnalato l'urgenza di tutela di tanti siti ma tali segnalazioni, il più delle volte, siano rimaste lettera morta in quanto i mezzi legislativi non hanno consentito loro di poter andare oltre a quanto fatto.
Il vincolo archeologico, spiega la Lo Schiavo, non è un vincono di inedificabilità; sia i vincoli diretti che indiretti tendono a tutelare la cosa, la differenza tra i due tipi di vincolo sta nel fatto che mentre il primo (vincolo diretto) ha come fine la tutela diretta della cosa, il secondo (indiretto) crea un'area di rispetto che permette la fruibilità della cosa. Mentre la valorizzazione della cosa spetta a più enti mediante un progetto condiviso dalle parti.
Per quanto riguarda la scomparsa di oltre 400 tombe, la Lo Schiavo, coadiuvata dalla Dr.ssa Salvi, ha spigato come in realtà stiano le cose.
Innanzitutto l'opera di scavo è, di per sè, un'opera distruttiva in quanto per arrivare ad un reperto è necessario scavare, quindi distruggere la situazione primigenia. Beninteso, per distruggere si intende rimuovere quanto si trova nell'area, quindi asportare il terreno e tutto quello in esso e non altro (come qualcuno ha insinuato).
Dato che le varie sepolture sono stratificate e non, come si potrebbe supporre, in un certo ordine, è ovvio che per arrivare alla sepoltura più in basso occorrerà rimuovere quella sopra e così via sino ad arrivare a quello che in termini archeologici si definisce "strato sterile", ossia alla nuda roccia o ad una conformazione geologica dove si sa che non sussiste altro.
Viene da sè il fatto che, per recuperare le sepolture le tombe vengano distrutte: non c'è altro modo.
Le metodologie di scavo prevedono poi una numerazione progressiva dei reperti trovati; la tecnica della numerazione progressiva, descrive la Dr.ssa Salvi, prevede che, nel caso in cui non si abbia la certezza che un determinato pezzo faccia parte di una sepoltura univoca, questo viene numerato con un numero progressivo successivo.
Per meglio capirci, accade molto spesso che una serie di reperti numerati progressivamente vengano successivamente accorpati in un'unica sepoltura quindi, in termini di numeri, il loro valore assoluto indicante le sepolture si riduce (giusto per esempio: 20 reperti numerati progressivamente = una sepoltura).
Per tacitare tutti coloro i quali si lamentano che le tombe sono state distrutte (facendo credere che ne sia stato distrutto anche il contenuto) si potrebbe agire come disse il noto archeologo Lilliu: la miglior tutela di un bene archeologico è tenerlo sepolto...
Per quanto riguarda il presunto danno creato dai gradoni, la Lo Schiavo ha spiegato che questi sono semplicemente poggiati sul terreno dove non sussistono tombe e che quindi non si tratta di un'opera invasiva che potrebbe danneggiare l'area archeologica in quanto, per eliminarli basterebbe tagliare la rete e rimuovere le pietre in essi contenute.
Sia la Lo Schiavo che la Salvi hanno sottolineato che nell'area esterna al vincolo non vi sono tracce di sepolture, ciononostante l'area viene tenuta sotto controllo dagli archeologi, pronti ad intervenire nel caso venissero alla luce nuove sepolture, mentre hanno confermato che nell'area archeologica vi sono ancora numerosissime tombe che aspettano di venire alla luce.
In sintesi la Dr.ssa Lo Schiavo ha rivendicato il corretto operato svolto dalla Soprintendenza Archeologica nel rispetto delle competenze proprie dell'ente. Un attenersi alle regole che sta comunque costando caro alla Soprintendenza che,bersagliata da accuse da più parti, travisata nelle sue dichiarazioni porta fatti a sua discolpa che nessuno vuole prendere in considerazione.
Sembrerebbe quasi che in questa vicenda del colle di Tuvixeddu dove, sicuramente, vi sia in ballo molto più di quanto oggi si possa intravedere, si sia già preparato l'agnello sacrificale.
La Soprintendenza Archeologica per l'appunto.
(Giorgio Ghiglieri)

E a dir di Tuvixeddu... VIDEO (di Giorgio Ghiglieri)

26 settembre 2008

Federico, born in N.S.I. (Nuraminis, Sardinia Island) - di Giorgio Ghiglieri



Federico Zara, born in N.S.I. (Nuraminis Sardinia Island) è un sardo doc sul cui biglietto da visita, alla voce attività, potrebbe scrivere 'Artista del riciclaggio'.
Riciclaggio in senso ecologico non come reato. Che avete capito?
Difatti Federico, prima di essere un artista (aggettivo che preferisce non venga usato nei suoi confronti), è un acceso sostenitore dell'ambiente.
Nulla si crea, nulla si distrugge: tutto si trasforma.
Questo concetto si applica perfettamente al nostro artista poco più che trentenne alla perenne ricerca di se stesso (e di un posto di lavoro stabile) con una passione per la fantascienza intelligente (Lovercraft, Asimov, Orwell), privo di risposte pronte e con una bella collezione di dubbi.
Potrei definire Federico Zara uno scultore in quanto le sue opere possono essere assimilate a sculture ma sarebbe sicuramente riduttivo; in realtà trattasi di composizioni a carattere tecnologico-cibernetico create con una tecnica personalissima che porta a dei risultati, sicuramente, originalissimi e sorprendenti.
La cosa funziona più o meno così: Federico inizia ad osservare i vari apparati 'rottamati' che si possono trovare in un qualsiasi deposito di rifiuti. Inizia a smontarli e nel frattempo osserva i vari pezzi. A questo punto, presumo, dovrebbe scattare l'idea geniale (la classica lampadina del fumetto) e così il nostro artista, armato di saldatore, colle & vernici inizia ad assemblare i pezzi più disparati presi da oggetti altrettanto disparati. Da questo lavoro nascono creazioni che non hanno nessuna parentela con gli oggetti primigeni.
Avete mai visto la statua di un guerriero tecnologico di un futuro remoto venire fuori da pezzi di un videoregistratore e di una stampante? Vedere per credere.
La materia prima utilizzata da Federico ha una sua precisa ragione di essere. Ritiene, a ragione, che ciascuno di noi, vittima di un consumismo oramai esasperato, spreca letteralmente le risorse gettando via tante di quelle cose che potrebbero avere ancora un loro ciclo di vita reincarnandosi in forme diverse e sempre fruibili.
L'esempio è dato dalla quantità incredibile di 'spazzatura elettronica' che produciamo: dal videoregistratore obsoleto dopo due anni al computer passato di moda; dal telefonino alla stampante e via elencando. Tutto questo materiale, continua a raccontare Federico, viene buttato via come materiale inutile ed ingombrante aumentando così la massa di rifiuti che, giorno dopo giorno, ci stanno sommergendo.
Nel suo piccolo, quindi, contribuisce alla diminuzione dello spreco di risorse, riutilizzando materiali di scarto ed ottenendo, nel contempo, dei notevoli risultati artistici.
Mi spiegava Federico che il concetto base su cui basa la realizzazione delle sue opere è facilmente trasportabile anche sul piano pedagogico. La sua idea sarebbe di poter realizzare deglii workshop nelle scuole elementari dove poter insegnare l'arte della creazione di nuovi oggetti ai bambini, partendo da materiale di recupero.
Tale progetto avrebbe due finalità: la prima quella di stimolare le capacità artistiche e manuali dei bambini; la seconda di insegnare l'ecologia mostrando, nella pratica, come dei materiali, normalmente gettati via perchè considerati inutili, possano essere riutilizzati e rinascere a nuova vita e nuovo utilizzo.
L'unico mio problema, conclude Federico, è che non so esattamente dove rivolgermi per proporre questo progetto. Dicendo questo mi sorride con l'aria di chi ha bussato a molte porte che si sono rifiutate di aprirsi.
L'idea di questi workshop con i bambini mi sembra abbastanza buona: in questa epoca in cui è fondamentale trovare uno sviluppo sostenibile, iniziare a farlo capire sin da piccoli non può che fare bene.
Gli diamo una mano?


Giorgio Ghiglieri

23 settembre 2008

Cagliari, sabato Tuvixeddu si mette in mostra (di Giorgio Ghiglieri)

Una mostra per conoscere la vera storia di Tuvixeddu e dei suoi reperti. Sulla necropoli in questi mesi tutti hanno espresso il loro punto di vista, più o meno opinabile. Tutti ad esclusione della Soprintendenza Archeologica di Cagliari accusata da più parti dello "scempio di Tuvixeddu".

La Soprintendenza Archeologica si è chiusa in un silenzio istituzionale ed ha scelto un modo molto efficace per ribattere le accuse piovutele addosso: una mostra su Tuvixeddu.
Mostra che, oltre ad esporre vari reperti rinvenuti nell'area, ripercorrerà tutta la storia degli scavi e rinvenimenti archeologici con dovizia di documentazione grafica e fotografica.
Si tratta quindi di un'occasione imperdibile per tutti coloro i quali hanno interesse a conoscere la storia di questo luogo di cui tanto si è parlato ma poco si è visto.


L'apertura della mostra è fissata per sabato 27 settembre alle ore 17 presso la Cittadella dei Musei di Cagliari e sarà preceduta, la mattina, da una conferenza stampa.

(Giorgio Ghiglieri)

21 settembre 2008

Tuvixeddu: Le ragioni del colle, pardon di Italia Nostra

Giorgio Todde:
(rivolto alla Dott.ssa Mureddu) "...Il fatto che stia dicendo cose con le quali io stesso non sono d'accordo perchè negano l'evidenza, questo non significa che non debba esporle..."
Maria Paola Morittu (Italia Nostra):
".....a questo punto, la Soprintendenza, secondo me, avrebbe dovuto dire: avevamo ragione, le tombe ci sono, estendiamo il vincolo, salviamo il villino Serra, facciamo un grande parco aperto alla vista della città. Non c'era un palazzo Cadeddu. Invece la Soprintendenza si è messa d'accordo con l'impresa. Ha scavato d'accordo con l'impresa, no non sto parlando di accordi illeciti. Legittimamente si è messa d'accordo con l'impresa. Ha chiesto un termine all'impresa per poter effettuare gli scavi, dopodichè ha concesso che venisse realizzato il progetto edificatorio.Dando anche un premio in volumetria perchè il costruttore ha ceduto le aree vincolate le aree dove c'era la villa di.... la tomba di Caio Rubellio al Comune. Oltretutto il costruttore ha anche avuto un premio di rinvenimento perchè nel suo terreno sono state trovate 431 tombe (Nota:Ha dimenticato di dire che il riferimento è per tre lotti) .....".
Renato Soru:
"...in maniera che tutte le competenze fossero coinvolte. E' stato messo un vincolo sulla base di una discussione dove naturalmente l'unico contrario era il Soprintendente ai Beni Archeologici..."
"...Una mattina stavo andando in ufficio, sono passato in macchina in via S.Avendrace e ho visto all'improvviso che una casa l'avevano buttata giù forse il giorno prima e ho visto un pezzo dei Sassi di Matera (?!) a fianco al bar, all'inizio di Viale S. Avendrace, vicino alla Grotta della Vipera. Non bisogna essre Soprintendente ai Beni Archeologici per capire che forse valeva la pena di occuparsene e non ho capito se il Soprintendente ai Beni Archeologici facesse una strada sempre diversa e se anche i suoi colleghi e collaboratori, la zia e non avesse un figlio che lo potesse avvisare (applausi scroscianti...). Grazie. E neanche un figlio che potesse avvisarlo: babbo. ho visto questa cosa passando per strada. Una cosa che una persona semplice, senza troppi studi poteva capire, che nella via S. Avendrace che conosciamo tutti quanti oggi alla fine non si vedeva più niente tranne questa grotta che qualcuno aveva salvato (pausa sospensiva) nei secoli scorsi. .....".

Questi tre passaggi espressi con parole testuali, estrapolati dalle oltre tre ore di parole che hanno animato (a senso unico) il dibattito (inesistente) sul tema. "Tuvixeddu: le ragioni del colle", organizzato da Italia Nostra in collaborazione col Consiglio Regionale della Sardegna sabato 20 settembre al Palazzo viceregio di Cagliari la dicono lunga sugli scopi della manifestazione.
Pubblicizzata come un incontro-dibattito con la cittadinanza si è rivelato un processo sommario ai presunti colpevoli del fantomatico sfascio di Tuvixeddu: la Soprintendenza Archeologica di Cagliari.
Soprintendenza che, nel momento in cui ha avuto l'occasione per dire la sua sull'argomento, basandosi su solidi fatti, con l'intervento di Donatella Mureddu, portavoce del Soprintendente Lo Schiavo, assente, è stata, in pratica ridotta al silenzio sia dal moderatore per presunti problemi di tempi, sia da una parte del pubblico che ne ha impedito, in parte, l'esposizione dei fatti (gli unici della serata).

In pratica, alle 21.30 si è arrivati alla fine degli interventi con un pubblico ridotto al lumicino.
Vien da sè che, a questo punto, qualsiasi dibattito si sarebbe svolto davanti ad un numero risibile di persone e quindi privo di qualsiasi valore; bene hanno fatto alcuni esponenti delle associazioni ambientaliste ed altri che avevano dei quesiti da porre ad abbandonare (giustamente) il convegno per protesta.
Difatti, invece di porre per ultimi gli interventi politici, lasciando quindi spazio al dibattito, è stata spostata la scaletta per cui, alla fine dell'intervento del Presidente Soru,la sala si è svuotata di colpo di almeno la metà dei partecipanti ed alla fine dell'intervento di Elio Garzillo sarà rimasto, ad occhio, un decimo del pubblico presente all'inizio.
Risulta quindi chiaro che questa conferenza è stata organizzata per attaccare la Soprintendenza Archeologica, mossa preventiva causa l'apertura il giorno 27 settembre di una mostra su Tuvixeddu organizzata dalla stessa Soprintendenza.
una mostra in cui verranno esposte, oltre ai reperti, tavole, disegni e documenti che raccontano la vera storia di Tuvixeddu e spazzano via il falso clamoroso delle oltre 400 tombe scomparse. Falso che, durante il congresso (?) è stato più volte rimarcato senza però portare alcuna prova a supporto di quanto affermato.
Ovviamente si è evitato accuratamente di lasciare spazio a molte persone le quali, fatti alla mano, avevano parecchie domande scomode da esporre, domande chiare con risposte altrettanto chiare che avrebbero, con tutta probabilità, messo in imbarazzo molti dei relatori i quali, oltre a raffronti improponibili e voli pindarici, altro non hanno saputo esporre.
Una cosa evidente è stata la falcidia messa in atto tra i "paladini del colle", infatti, mentre alcuni esponenti della "prima ora" non sono stati nemmeno invitati (evidentemente scomodi), altri sono rimasti ad aspettare (invano) il loro turno per dibattere. Tutti questi personaggi hanno un comune denominatore: hanno iniziato a dissentire.

In realtà, questo simposio, oltre ad affossare la Soprintendenza Archeologica, serviva a supportare l'annuncio del Presidente Soru dell'ennesimo blocco ai cantieri di Coimpresa mediante il ricorso al Consiglio di Stato. Un modo per prendere tempo ed approvare la legge che consenta alla RAS di legiferare onde poter ricreare la commissione precedentemente cassata da ben tre sentenze.

Renato Soru:
"...Per farla breve, spero che lunedi o martedi noi ci opporremo al Consiglio di Stato contro la sospensione quindi i cantieri, a parte quello di Cocco che ormai è fermo anche quello di Tuvixeddu rimarrà fermo. Nel frattempo la Soprintendenza ai Beni Monumentali ha sospeso alcune ma sarà più preciso l'architetto Grazillo, ha sospeo alcune concessioni, avendone sospeso il nulla osta paesaggistico in vitrù, pensate un po' del piano paesaggistico regionale, in vitrù del piano paesaggistico regionale che questa regione ha messo...."
Inoltre Soru, fa aleggiare un'atmosfera sinistra sulla platea dichiarando:
"...perchè c'è anche qualcuno tra noi,a me non interessa niente, ma c'è qualcuno tra noi che si pone il problema di cosa deve fare per salvare la sua casa, se la deve intestare al figlio perchè nel frattempo le imprese lo stanno perseguitando, lo minacciano di portargli via la casa....."
Alla fine conclude con un colpo di teatro:
"...Nel frattempo credo che sia stata una bella notizia, è una cosa che covava da qualche tempo, che la Sardegna si faccia capofila di un progetto transnazionale, quindi maggiormente accettato dall'UNESCO per la tutela per l'inserimento nella lista dei siti protetti dall'UNESCO non di un singolo sito ma dell'intera cultura fenicio-punica di cui è stat richiamata nella cartina, partendo dai siti in Sicilia con cui si sta collaborando, i siti di Malta e certamente aggiungendo quelli delle Baleari col cui presidente ci siamo incontrati qualche giorno fa. E che finalmente possa essere questa cultura fenicio-punica che ha delle presenze così importanti in Sardegna messa sotto la protezione anche dell'UNESCO. Così come credo possa essere una bella notizia dire che volgiamo impegnarci anche perchè non il singolo nuraghe ma l'intera cultura nuragica possa diventare patrimonio dell'UNESCO e quindi non solamente il sito di Barumini ma tutti gli 8000 piccoli siti e tutti i percorsi che legano questi nuraghi sono patrimonio dell'umanità che portiamo all'attenzione dell'UNESCO credo con grande possibilità di successo. Giovedi incontrerò il Ministro Biondi e speriamo di poter festeggiare la fine di questa lunga storia."

Dimenticando che il suo assessorato ai Beni Culturali non muove un dito per la tutela di vaste aree in cui insistono importanti siti archeologici, scaricando le incombenze alla Soprintendenza Archeologica, salvo poi cercare di impossessarsene quando fa più comodo.
Ma, si sa, la corsa alle elezioni regionali è cominciata......

Tuvixeddu: Comunicato da Amici di Sardegna

Ricevo e pubblico:

COMUNICATO STAMPA
Tuvixeddu: l’ennesima demagogica prevaricazione

Da oltre 20 anni operiamo in Sardegna nel tentativo di creare interesse e partecipazione sulle peculiarità e vicende che riguardano la nostra terra allo scopo di arricchire le conoscenze e le sensibilità dei residenti. Fra le numerose iniziative che abbiamo realizzato in tutta la Regione quelle riferite alla necropoli di Tuvixeddu sono state senz’altro le più seguite e anche le più imitate. Su questo sito di rilevanza mondiale si è detto e fatto di tutto. Ma alla fine sembra che non se ne voglia venire a capo. In effetti c’è molta confusione e anche una limitata conoscenza dei fatti.
Ma, al riguardo, una cosa mi sembra giusto affermare.
12 anni fa, in occasione della 1° manifestazione di Monumenti Aperti, aprimmo al pubblico la necropoli di Tuvixeddu, nonostante le resistenze del Comune di Cagliari e degli stessi organizzatori della manifestazione. In un poco più di un giorno raccogliemmo circa 3.000 firme dei visitatori e presentammo la proposta di Tuvixeddu Monumento Unesco. Da allora abbiamo organizzato visite guidate, dibattiti, progetti, iniziative legislative e raccolta di firme che sono state trasmesse a tutti gli enti pubblici e al Ministero dei Beni Culturali.
Purtroppo ai nostri numerosi incontri non ha mai partecipato il Presidente Soru e neppure gli Assessori regionali competenti.
E poi se Tuvixeddu è un bene identitario, come si afferma, la laguna di Santa Gilla, dove è stata costruito il Campus di Tiscali, non lo è lo stesso?
E’ bastato avere un nome aziendale identitario per rovinare un bene della stessa natura?
Oggi ci dispiace dover rilevare che la nostra proposta sia stata fatta propria dal Presidente Soru e presentata agli Uffici di Roma, senza neppure essere stati da lui ricevuti o citati fra coloro che hanno avuto il merito di segnalare l’iniziativa.
Perché quando si parla di cultura e identità della Sardegna il Presidente preferisce ascoltare la solite associazioni ambientaliste romane, piuttosto che ascoltare i suggerimenti degli Amici della Sardegna, che in questi anni hanno cercato di dare, dimostrando di avere al loro interno sufficienti conoscenze, capacità e competenze e soprattutto del buon senso?
Proprio quel buon senso che se fosse stato ascoltato (e i fatti ci danno purtroppo ragione!) non ci avrebbe portato alla paradossale situazione in cui oggi ci troviamo e chissà per quanto ancora dovremo subire.
Smettiamola di usare la collina come strumento di lotta politica e realizziamo questo benedetto parco trattando con i legittimi titolari, dove non c’è solo la Coimpresa e il Comune e il Presidente della Regione sostenuto da 4 blasonate associazioni ambientaliste, ma tutta la Sardegna.

Il Presidente
Prof. Roberto Copparoni

19 settembre 2008

Tuvixeddu: Non c'è due senza tre

Stavolta sono tre: due sentenze del TAR ed una del Consiglio di Stato.
Tre sentenze che danno clamorosamente e pesantemente torto all RAS, il "braccio armato" dei "paladini del colle".
Leggendo le tre sentenze, al di là dei rilievi fatti su procedimenti amministrativi irregolari, salta subito agli occhi che la storia delle tombe scomparse e quelle inistenti al di fuori del parco archeologico non è stata creduta dai giudici come un'argomentazione valida.
Quindi si tratta, come ho sempre sostenuto basandomi sule carte, di una mistificazione bella e buona o, se preferite, di un'interpretazione personale dei fatti i cui scopi, pur non attualmente provabili documentalmente, sono facilmente intuibili.
Stando ai fatti (che ciascuno di voi potrà verificare di persona a fine mese nella mostra su Tuvixeddu) tutte le storie delle tombe scomparse, distrutte, omesse, eccetera, sono una pura invenzione propinata, probabilmente, per giustificare una presa di posizione che, nonostante tutto, continuo a ritenere incredibile e, comunque, priva di senso logico nell'economia di una ipotetica protezione del colle di Tuvixeddu.
C'è da dire che i legali di Coimpresa stanno preparando una richiesta di risarcimento danni alquanto congrua e sono intenzionati a far pagare i danni in solido agli attori di questa vicenda (responsabilità soggettiva, riconosciuta dalla Corte dei Conti in caso di danno all'Erario).
Non è che questo fatto e la proposizione continua di vincoli (poi regolarmente bocciati) abbiano una certa attinenza?
Vedremo......

15 settembre 2008

Tuvixeddu: Le mani avanti

Questa seconda metà di settembre ha in serbo parecchie novità sulla vicenda di Tuvixeddu.
Dopo l'ennesimo blocco dei lavori attuato dalla RAS sul colle, i "paladini del colle" hanno in serbo per sabato prossimo una manifestazione aperta ai cittadini sull'argomento Tuvixeddu, organizzato (pare) dall'assessore Mongiu, il Soprintendente Garzillo ed altri.
Questa manifestazione aperta ai cittadini (quindi ingresso libero a tutti) non è nata per caso: chi l'ha organizzata sa perfettamente che a fine mese verrà inaugurata una mostra su Tuvixeddu organizzata dalla Soprintendenza Archeologica di Cagliari in cui, con fatti e documenti verrà ripercorsa tutta la storia dei rinvenimenti sul colle, mostrandone l'ubicazione sia documentale che grafica.
Quindi chiunque potrà rendersi conto di come stanno realmente le cose, comprese le 400 tombe scomparse e/o distrutte (dipende da quale paladino del colle parla) che non sono nè scomparse nè distrutte.
Parleranno, insomma, i fatti.
Quindi perchè non anticipare questa mostra con un incontro con i cittadini per far valere per primi il proprio punto di vista e magari esporre qualche altra mirabolante teoria o, più semplicemente, buttare altro fumo negli occhi dei cittadini che, a furia di sentirne di tutti i colori non sanno più a chi credere?
Sarà interessante parteciparvi, se non altro per sentire ciò che verrà detto e dopo, magari, confutarlo con i fatti.
Resta comunque il fatto che tutti questi "paladini del colle" sino ad oggi non abbiano fatto seguire a tutte le loro affermazioni uno straccio di documento valido a comprovare quanto asserito.
Solo parole.
Mi sembra tanto un mettere le mani avanti....

11 settembre 2008

Nuraminis: Le strane storie delle cave/4 (di Giorgio Ghiglieri)



Parla il Sindaco di Nuraminis


Dal mio primo articolo sulla cava di Bia Segariu, nota alla comunità di Nuraminis-Villagreca come la cava di Monte Is Crucuris, oltre i pochi fatti certi che ho potuto appurare (ed esporre nei tre articoli precedenti), hanno iniziato a girare una serie di notizie prive di riscontro obbiettivo propalate dalle più varie fonti. Dato che il compito di chi informa è quello di fornire notizie comprovate, ho iniziato una "caccia ai protagonisti" che si è protratta per oltre un mese (e si protrae tuttora).
Oggi è la volta della storia di Bia Segariu raccontata dal Sindaco di Nuraminis Luciano Cappai che mi ha concesso gentilmente una lunga intervista sabato scorso (6 settembre) e permesso di consultare la documentazione comprovante le sue dichiarazioni (9 settembre).

Voglio precisare il fatto che questa amministrazione ha messo a mia disposizione due faldoni di documenti inerenti la vicenda di Bia Segariu da consultare e la cosa è meritevole di nota.

Ritengo sia molto importante fare riferimento alle date in maniera tale che sia ben chiaro lo svolgimento temporale di tutta la vicenda che sembra assumere nuovi sviluppi di giorno in giorno.
Ecco, in sintesi, quanto racconta il Sindaco Luciano Cappai sulla vicenda della cava, vissuta, ovviamente, dalla parte dell'Amministrazione Comunale di Nuraminis.

...La vicenda della cava, almeno per quanto riguarda questi ultimi avvenimenti, si può iniziare a datare dal Febbraio 2008 quando, come Amministrazione, riceviamo una lettera da parte dell'Assessorato all'Industria della Regione Sardegna nella quale ci comunicano di aver accettato il subentro della Ditta F.lli Locci al posto della Ditta COSMOTER di Vincenzo Foddi per i lavori di coltivazione di cava di Bia Segariu (c.f.r.: lettera da R.A.S. data 12/02/2008; lettera da R.A.S. data 21/02/08; lettera da R.A.S. data 25/02/08).
In sintesi il contenuto della comunicazione esprime il fatto che, nelle more della verifica del piano di cava e di ripristino, viene concessa comunque l'autorizzazione alla coltivazione di cava (c.f.r.: evidentemente l'autorizzazione si riferisce al progetto di cava presentato nel 2005 dall'allora detentore dei diritti, COSMOTER di Vincenzo Foddi).

...A maggio 2008 si presenta uno dei titolari della ditta F.lli Locci annunciando l'imminente inizio dei lavori di cavazione, come da permessi ottenuti; l'Amministrazione, pur non avendo più alcuna competenza in materia, neppure potere consultivo, sottolinea l'importanza di evitare violazioni al paesaggio e, contestualmente richiede alla ditta F.lli Locci una polizza fidejussoria a garanzia per eventuali danni arrecati alla strada di collegamento tra Villagreca a Nuraminis, strada utilizzata dai mezzi uscenti dalla cava e non progettata per sostenere un tale traffico pesante.
La ditta Locci, per bocca del suo rappresentante acconsente alla richiesta e garantisce il rispetto dei luoghi e la loro rinaturalizzazione al termine dei lavori provvedendo, inoltre a ricolmare il grosso sbancamento preesistente ai piedi della collina per poi ripiantumarlo (c.f.r.: da Comune di Nuraminis a ditta F.lli Locci -data 23/05/2008- Richiesta polizza fidejussoria, importo 25.000 euro).
Sempre in questo periodo viene contattato telefonicamente l'Assessorato all'Ambiente della RAS che conferma la propria incompetenza sul caso, trattandosi di un subentro all'attività di cava e non della creazione di una nuova cava.

Nel frattempo l'Amministrazione monitorizza, in maniera molto discreta, i lavori di estrazione di cava e quando ci si rende conto che l'attività aggredisce il fianco della collina (parte visibile da Villagreca) si ritiene che, con tutta probabilità, qualcosa non vada per il verso giusto e ci si attiva.
Il cosidetto "casus belli" capita quando riceviamo, continua a raccontare Luciano Cappai, una telefonata da parte di un cittadino di Villagreca il quale segnala la rottura di un tombino nella strada percorsa dai camion della ditta Locci.
Mi sono attivato personalmente in compagnia dell'assessore Cabras, prosegue il Sindaco, e con l'aiuto della cooperativa siamo riusciti a coprire il tombino spaccato con una lastra d'acciaio, in attesa di ripristinare lo stato dei luoghi. .
...Sempre in via informale ho richiesto la presenza dei responsabili della cava in ufficio per chiarire la questione; cosa avvenuta il lunedi successivo ove ho provveduto, per correttezza, a metterli al corrente dei passi in essere da parte della nostra amministrazione.
I passi che ho mosso, racconta ancora il Sindaco Cappai, riguardavano il contatto con l'Assessorato all'Industria dove (probabilmente causa ferie di agosto) non ho trovato nessuna risposta soddisfacente; ho poi cercato di contattare direttamente l'assessore all'Ambiente Cicito Morittu, in quel frangente impegnato, successivamente con Ignazio Pau cui ho esposto il problema in tutta la sua urgenza.
Va sottolineato, per correttezza, che, durante lo svolgersi dei fatti , ho ricevuto la visita di un rappresentante della ditta F.lli Locci che ha fatto presente l'inizio da parte loro dell'attività dei lavori di messa in sicurezza e di ripristino mediante la realizzazione di gradoni e la spiegazione di come avrebbero provveduto alla rinaturalizzazione dell'area (c.f.r. lettera da ditta F.lli Locci a Comune Nuraminis data 08/08/2008)
Inoltre ho contattato il Prefetto, dott. Gullotta (impegnato in quel momento) ed il vice Prefetto Vicario, dott. Bruno Corda il quale, oltre alla promessa di un immediato interessamento personale mi ha anche consigliato quali altre strade percorrere. Strade che sono state quella di contattare il Comandante del Corpo Forestale, dott. Delogu che, pur essendo in ferie, si è immediatamente attivato e richiedere, inoltre l'intervento del NOE del Corpo dei Carabinieri (Nucleo Operativo Ecologico oggi Comando dei Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente), anche loro attivatisi immediatamente dopo la richiesta scritta (c.f.r. fax da Comune di Nuraminis a NOE - data 06/08/2008).
C'è da dire, continua Luciano Cappai, che gli interventi delle autorità contattate sono stati immediati, tanto è vero che dopo alcuni giorni, preannunciata da una telefonata, mi veniva notificato il decreto di sospensione dei lavori nella cava a seguito dell'ispezione del Corpo Forestale (c.f.r. lettera da RAS a Comune di Nuraminis data 14/08/2008).
Dal rapporto della Forestale risulterebbe che la ditta Locci non ha rispettato il piano di cava che era momentaneamente in essere(c.f.r. il decreto parla di violazione degli artt. 19,20,21 e 42 della L.R. 30 del 07/06/1989) ma non avendo ancora copia della relazione ispettiva non ci si può inoltrare ancora in dettagli precisi, quindi quando vi saranno le copie delle relazioni (Corpo Forestale e NOE) si potranno valutare i dettagli.
(NOTA- Dai documenti esistenti presso l'amministrazione comunale di Nuraminis, si può ipotizzare che, in mancanza di un progetto successivo approvato dalla RAS che andrebbe a sostituire quello che ha posto in essere in primis l'attività di cava (progetto redatto dai Geologi Lorenzo e Luciano Ottelli, committente ditta Foddi Vincenzo), vale, appunto, il progetto depositato presso il Comune di Nuraminis da parte di Vincenzo Foddi ed in questo progetto, sulla mappa che illustra le future espansioni della cava, monte Is Crucuris viene solamente lambito dal piano di cava).

Parlando della cava rispetto all'ambiente, il primo cittadino di Nuraminis concorda col fatto che si tratta di obbrobrio ambientale ma che il nocciolo del problema non sta tanto nell'operato della ditta Locci in se stesso, bensì in chi ha rilasciato le autorizzazioni o meglio, nel meccanismo di rilascio delle autorizzazioni che hanno portato, come risultante, la realizzazione di questa (si fa per dire) opera.
Ciò che Luciano Cappai ritiene grave è che, per poter arrivare ad estrarre poche migliaia di metri cubi di materiale argilloso (utilizzato, così sembra, per impermeabilizzare un sito di discariche pericolose a Macchiareddu), si siano estratte dalla collina centinaia di migliaia di metri cubi di materiale senza alcun valore industriale. Oltre ciò è preoccupato per la non messa in sicurezza del sito in quanto, essendo come detto prima, composto prevalentemente da materiale friabile è a rischio frane. Non che si possa verificare una frana con conseguenze pericolose per la comunità ma, in caso di piogge persistenti, si potrebbe creare una "valanga" di fango che, con tutta probabilità inonderebbe la strada adiacente e riempirebbe di fango i campi coltivati circostanti con tutte le conseguenze del caso.
Il Sindaco Cappai conclude la storia della cava di Bia Segariu considerando il fatto che, a causa delle ferie di agosto molti funzionari (e politici) non erano reperibili o, comunque non avevano chiaro il quadro della situazione, non dimentichiamolo, si è evoluta in pochissimo tempo. Nel momento in cui tutte le attività riprenderanno regolarmente si riuscirà ad avere un quadro di intenti e di azioni molto più chiaro e si capiranno meglio gli sviluppi di questa situazione in modo tale si possa agire di conseguenza, ricordando che, in qualsiasi caso, tutte le azioni poste in essere dall'amministrazione da lui guidata, saranno improntate al rispetto delle regole anche se questo porterà a doversi muovere con una notevole cautela; cosa che, in questi casi, potrebbe sembrare antitetica rispetto all'urgenza venutasi a creare.

Riguardo l'informazione sulla vicenda della cava, il Sindaco mi ha assicurato che a tutti coloro i quali hanno chiesto informazioni sull'argomento, ha dato le stesse risposte che voi state leggendo e, comunque, un quadro relativamente chiaro della situazione si sta cominciando a delineare solo adesso.
Ma questa è un'altra storia.
Giorgio Ghiglieri

05 settembre 2008

Tuvixeddu: Gli scalatori degli specchi

"Comprovate nuove emergenze archeologiche nell'area oggetto del provvedimento".
Vero come un biglietto da tre euro ma tanto basta a bloccare per almeno 90 giorni i cantieri.
Con tanti saluti alle proposte di mediazione tanto conclamate dal nostro Governatore (chissà perchè mi ricorda una vecchia canzone dei Platters "Smoke gets in your eyes").
Che dire di fronte a questa ennesima mossa da parte della RAS che, ogni giorno che passa assume sempre più l'aspetto di una guerra o, se preferite, un'arrampicata sugli specchi?
Oramai è dimostrato che di emergenze archeologiche nell'area non ne esistono e le famose 430, pardon, 431 tombe non sono state distrutte come qualche "esperto" ha proclamato (e continua a proclamare) e che per fare più rumore si mettono in campo cifre roboanti ma riferite all'ultimo decennio.
Di certo si sta facendo leva sulla disinformazione in materia dimenticando, sempre e comunque, che (soprattutto la RAS), prima di firmare il protocollo di intesa ha vagliato, verificato, controllato e chiesto pareri che sono passati al vaglio di ulteriori controlli di merito e sostanza.
Oggi si vuole far credere che sono state sottotaciute delle cose (ovviamente la colpa non è della RAS, ci mancherebbe) e, per fare questo si getta fango sopra un'istituzione dello Stato come la Soprintendenza Archeologica di Cagliari e si accolla la responsabilità di queste sviste all'ex Soprintendente Santoni (che, ricordiamolo sempre, votò contro, come membro della mitica commissione regionale che decretò i vincoli totali cassati sia dal TAR che dal Consiglio di Stato, a tali vincoli) ed ai suoi collaboratori i quali, fatti alla mano, hanno passato parecchi anni a ripulire da immondizia, detriti e quant'altro l'area che oggi è il parco archeologico mentre gli attuali saccenti non avevano nemmeno idea di dove fosse l'area archeologica e cosa contenesse.
Questo ennesimo tentativo di blocco dell'area parrebbe una mossa disperata dettata dal fatto che, nel momento in cui verrà stilata la conta dei danni subiti dalle imprese, la cifra che verrà fuori (causa una legge dello Stato) dovrà essere pagata in solido (leggere di tasca propria) da parte di chi ha contribuito a creare il danno e la cosa non penso sarà molto piacevole per gli interessati.
Oltre questo vi è anche la possibilità (non tanto remota) che gli stessi attori debbano dare qualche spiegazione ad un tribunale ordinario con tutte le conseguenze del caso.
Potrebbe anche essere una mossa prevalentemente politica in quanto due sentenze che sanciscono l'errore clamoroso (nella migliore delle ipotesi) della gestione amministrativa della vicenda e danno in toto, torto alla RAS, comporterebbe, in un qualsiasi altro paese democratico, le immediaate dimissioni degli autori di tale errore ma, si sa, siamo in Italia dove le dimissioni sono l'eccezione e non la regola.
Poi, volete mettere il fatto che certi personaggi, in caso di dimissioni dovrebbero trovarsi un lavoro vero e produrre dei risultati..
Scherziamo?

Sempre in tema di Tuvixeddu: la RAS sta aprendo un sito dedicato a Tuvixeddu.
Dato che non mi risulta abbia fatto richiesta di documentazione (fotografica e scientifica) alla Soprintendenza Archeologica viene da chiedersi da dove ha recuperato il materiale.

03 settembre 2008

Nuraminis: Le strane storie delle cave/3 (di Giorgio Ghiglieri)


I PADRI DELLA PROTESTA

La cava di Bia Segariu è bloccata da un decreto sospensivo della RAS dal 13 agosto; tale procedimento è stato posto in essere a causa delle proteste nate all’interno della comunità di Nuraminis - Villagreca.
Leggendo i quotidiani locali si deduce subito che questa protesta porta a due leader che, a giudicare dal tenore degli articoli, rivendicano entrambi la paternità della leadership della protesta.
Uno è Carmelo Spiga, Villagrechese doc, emigrato oltre 30 anni orsono ad Udine, impegnato politicamente nella sua città di adozione e culturalmente nella sua terra natia, coautore del libro sui tesori sorico-archeologici di Villagreca, allievo ed amico del battaglieri parroco di Villagreca don Leone Porru.
L’altro è il sindaco di Nuraminis, Luciano Cappai da una vita sulla poltrona di sindaco e troppo indaffarato per poter rispondere alle mie domande.
Questi due signori, a modo loro, hanno organizzato una protesta contro l’utilizzo della cava, uno dal lato di Villagreca e l’altro dal lato di Nuraminis (mettersi d’accordo e muovere un’azione comune è, evidentemente, troppo complicato), per cui sarei dell’opinione di assegnare ex aequo la paternità dell’azione di protesta.
Paternità che, tra breve, potrebbe risultare alquanto scomoda in quanto questo blocco della cava potrebbe portare, alla lunga, ad una conseguenza poco piacevole per entrambe le comunità.
Dall’analisi delle carte sull’attività della cava di Bia Segariu (Monte Is Crucuri) si evince il fatto che la zona, non essendo interessata ad alcun vincolo (ambientale e/o archeologico), non avendo alcuna peculiarità di sorta, avendo in essere una cava antecedente alla Legge Regionale 15 del 9 agosto 2002, non ha problemi ostativi per continuare ad essere una cava.
Questo significa che, pur lavorando la cava in regime di concessione provvisoria, non sussitono problemi tecnici che ne possano impedire l’attvità estrattiva.
Il decreto sospensivo è stato attuato a causa delle proteste della comunità in quanto la Regione Sardegna non pone alle sue scelte un carattere impositivo ma cerca, ove possibile, di trovare un punto di condivisione con le comunità interessate.
Quello che sanno in pochi è che l’attvità nella cava di Bia Segariu sarebbe dovuta proseguire ancora per un altro mese e, subito dopo sarebbero iniziati i lavori di messa in sicurezza dei luoghi ed il ripristino ambientale, secondo gli accordi presi preventivamente con la Regione Sardegna ed in base ai progetti presentati contestualmente alla richiesta di concessione per la coltivazione di cava.
Questo progetto di rinaturalizzazione (di cui pubblicherò quanto prima le immagini di simulazione su come sarà l’area appena terminati i lavori di ripiantumazione), anche se non riporterà monte Is Crucuri nelle sue condizioni originali, creerà comunque un’area verde con un impatto visivo certamente migliore di quello che si ha oggi della collina.
Da fonti attendibili risulta che la ditta F.lli Locci (i titolari della concessione di Bia Segariu) hanno accennato all’utilizzo della manodopera locale per i lavori di rinaturalizzazione; si parla quindi di creazione di posti di lavoro, anche se temporanei a beneficio della comunità.
Secondo gli intenti comuni, si sarebbe dovuto sopportare un altro mese di lavoro estrattivo, a seguire i lavori di messa in sicurezza e consolidamento dell’area e, a novembre, l’inizio della ripiantumazione.
Oggi su tutto questo pesa un grosso punto interrogativo dovuto allo stop dei lavori a causa della protesta.
Se noi consideriamo che, dal punto di vista contrattuale, la ditta F.lli Locci ha, sino ad un attimo prima del blocco dei lavori, tenuto fede ad i suoi impegni (e vorrebbe tenere fede a tutti i termini del contratto se gli viene permesso), risulta ovvio (ed è anche un loro diritto) il loro ricorso sulla decisione di blocco.
Ora, se il blocco dovesse protrarsi per lungo tempo, la cava potrebbe diventare per loro un affare assolutamente antieconomico e nulla vieterebbe loro di andare via, abbandonando la cava.
Ovviamente, dovendosi realizzare un simile scenario, è scontato che si creerà un contenzioso tra loro e la Regione Sardegna bloccando anche (e soprattutto) un eventuale utilizzo della fidejussione che la ditta Locci ha sottoscritto in favore della RAS a garanzia dei lavori di ripristino. Stessa cosa varrà per la fidejussione che, sempre la ditta Locci, ha sottoscritto col comune di Nuraminis per il ripristino dei tratti di strada utilizzati per il transito dei camion.
Considerando la durata di un contenzioso è facilmente prevedibile che la comunità di Villagreca e quella di Nuraminis (perchè poi le due comunità vogliano restare separate per me resta un mistero…) si terranno il monte Is Crucuri ridotto ad un cumulo di macerie per parecchi anni e, nel caso in cui la RAS perdesse il contenzioso i soldi per risanare la zona usciranno, come sempre, dalle nostre tasche.
Per cui questa protesta, nata clamorosamente in ritardo, rischia di produrre due risultati non molto piacevoli: ci si tiene una collina ridotta ad uno scempio e si butta alle ortiche la possibilità di avere dei posto di lavoro per gli abitanti della zona.
Quando si dice lungimiranza……

Dal punto di vista strettamente personale ritengo che, in qualsiasi caso, lo scempio ambientale (come quello archeologico o, peggio, culturale) siano degli autentici delitti contro la comunità.
Occorre però essere realisti e, in una situazione come quella di Bia Segariu, un comitato di protesta che ne blocca l’attività (a 30 giorni dalla fine) ottiene come unico risultato che lo scempio resti tale per molto tempo.
Al contrario, un comitato di salvaguardia degno di tal nome si occuperebbe in primis a fornire una corretta informazione sui fatti alla comunità, a verificare la correttezza degli accordi tra le parti, contrattare (ove possibile) i termini di ripristino in funzione di particolari esigenze della comunità e, alla fine dei lavori, vigilare sulle opere di ripristino per verificarne la conformità.
Dimostrando così di voler realmente tutelare gli interessi della comunità e non altro.
Giorgio Ghiglieri

28 agosto 2008

Tuvixeddu: Accanimento terapeutico o resa dei conti?



Ci risiamo: la guerra di Tuvixeddu riprende.
Il Governatore Soru ha deciso che, comunque, metterà i vincoli sul colle ed il suo braccio destro (?), l'Assessore M.A. Mongiu si è prodotta in una splendida performance mediatico-aritmetica passando dalle 400 tombe mancanti (ci sono ma forse nessuno glielo ha comunicato) ai 1000 ritrovamenti (però nell'arco degli ultimi dieci anni). Non c'è che dire: una notevole mossa mediatica (si sa, più è alto il valore numerico assoluto, più è sensazionale l'affermazione).
Ma, al di là delle dichiarazioni si intravedono delle crepe sempre più vistose in questa ripresa della guerra.
Innanzitutto iniziano a sorgere dei dubbi sul perchè tanto accanimento per vincolare il colle mentre l'area di Santa Gilla è stata data, per così dire, in pasto ai costruttori nonostante la sua valenza storico-archeologica ed il fatto che queste perplessità siano state sollevate da un'associazione ambientalista (folgorata sulla strada di Damasco?) la dice lunga sul fatto che il sano germe del dubbio stia iniziando a dare i suoi frutti.
Inoltre non risulta ancora ben chiaro cosa debba essere protetto nell'area in sui dovrà edificare Coimpresa: si tratta di un'area assolutamente sterile, il cui stato attuale è stato abbondantemente documentato. Soltanto perchè è a ridosso dell'area archeologica?
Mi sembra proprio che tutelare il nulla sia una mossa alquanto stravagante, a meno che sotto questa manovra non si celi qualcos'altro.
L'ipotesi non è tanto fantascientifica come potrebbe sembrare se andiamo ad analizzare altre città che sono piene di siti archeologici come Roma e Milano.
In queste città (come tutte, d'altronde) l'espansione edilizia è d'obbligo ed ultimamente le amministrazioni, trovandosi alle prese con delle scoperte di nuovi siti archeologici hanno cercato, come si suol dire, di salvare capra e cavoli proteggendo le parti che avevano una reale valenza storico-archeologica e rendendo possibile l'edificazione nelle immediate vicinanze.
Prendendo anche questi esempi viene da pensare che, dal punto di vista della tutela esistono due pesi e due misure, infatti non penso che gli amministratori di città quali Roma o Milano siano in gara per vincere il premio Attila 2008.
Sembrerebbe quindi che su Tuvixeddu, la RAS stia operando (ad essere buoni) una sorta di "accanimento terapeutico" su parti del colle archeologicamente irrilevanti, nel senso che si vogliono proteggere zone in cui non c'è nulla e, dato che proteggere un'area ha un suo costo, questo è giustificato se si deve proteggere qualcosa che esiste, diversamente è solo uno spreco di denaro bello e buono. Ma trattandosi di soldi nostri la cosa sembra irrilevante.
A meno che non si voglia dare ancora retta (dopo tutte le smentite ricevute) alle favolette che raccontò la mitica commissione del Colle (abbondantemente bastonata da due sentenze) che ha basato l'apposizione dei vincoli su cartografie e stato dei luoghi residenti unicamente sui libri di storia ed assolutamente scollate dalla realtà (leggere attentamente le sentenze).
Certo che, osservando dal di fuori questa vicenda oggi, visto l'accanimento, si ha l'impressione più di una resa dei conti (per motivi ignoti o quasi) che di una tutela doverosa di un luogo, tutela che comunque andava bene come era stata congegnata.
Il fatto che somigli ad una resa dei conti balza agli occhi venendo a conoscenza che la "colpa" del pasticcio delle tombe (scomparse, non tutelate, fate un po' voi) è responsabilità dell'ex Soprintendente Dott. Santoni che, guarda caso, votò contro l'apposizione dei vincoli nella commissione istituita dalla RAS e cassata, sia dal TAR che dal Consiglio di Stato. Coincidenza?
Però adesso si muovono anche i partiti politici, per l'esattezza il PD, a sostenere i nuovi futuri vincoli sul colle voluti dal Governatore Soru.
Non è che il PD sta ricambiando il favore di aver licenziato il Direttore dell'Unità Padellaro ed averlo sostituito con un nome gradito al partito?
Il proprietario de l'Unità è il Dott. Renato Soru (i soldi sono i suoi ergo il giornale pure). Coincidenza?
Un amico investigatore sostiene che due coincidenze diventano un fatto.
Sarà vero?

26 agosto 2008

Nuraminis: Le strane storie delle cave/2 (di Giorgio Ghiglieri)



La parola alle cifre.
La cava di monte "Su Crucuri" (questo è il termine cartografico esatto della collina) non è l'unica cava esistente nel territorio di Nuraminis: ve ne sono altre tre attive ed una dismessa.
Innanzitutto il nome esatto della cava è cava "Bia Segariu" ed è catalogata come preesistente al 1989.
Questa cava, il cui identificativo sul Catasto Regionale dei Giacimenti di Cava della Regione Sardegna è 261_C (la lettera C sta a significare l'utilizzo della cava per scopi civili).
L'autorizzazione allo sfruttamento è stata data, originariamente, alla ditta COSMOTER di Foddi Vincenzo e la superficie di sfruttamento è stata determinata in 26.500 (ventiseimilacinquecento) metri quadri ed il suo nucleo originario insiste nell'immediata vicinanza del monte "Su Crucuri" (come si evince dalla mappa planimetrica della Regione Sardegna). Successivamente i diritti di scavo sono stati ceduti alla ditta F.lli Locci di Iglesias che ha ampliato l'area di scavo sulle pendici del monte "Su Crucuri". Questa cava è stata bloccata il 13 Agosto per accertamenti burocratici da parte dell'Assessorato all'Industria della Regione Sardegna (con automatico ricorso al TAR, of course).
Da questa cava viene prodotto materiale per riempimento stradale; i dati di estrazione rilevano che nell'anno 2004 ha avuto una produzione pari a 23.067 tonnellate di materiale.
La seconda cava è quella denominata "Ferranti e Su Nuraxi". Questa cava, la cui autorizzazione di cava è rilasciata a Podda Stefano, è situata a ridosso (per non dire circonda) i resti del nuraghe denominato, appunto "Su Nuraxi". Estrae materiali inerti per conglomerati ed è identificata col codice 374_C; ha una superficie di cava prevista di 43.980 (quarantatremilanovecentottanta) metri quadri, estrae conglomerati e, sempre con i dati rilevati nel 2004 ha estratto 21.539 tonnellate di materiale.
La terza cava è quella denominata "Palas de Gruttas" dove vengono estratti materiali inerti da depositi alluvionali, il suo codice di riconoscimento è 405_C ed il titolare di scavo è Porru Pietro. Ha una superficie prevista di cava pari a 39.180 (trentanovemilacentottanta) metri quadri e nel 2004 ha estratto 23.067 tonnellate di materiale. Lo stesso tanto della cava di "Bia Segariu".
L'ultima cava attiva è quella di "Bruncu Orri" identificata come 383_I. La lettera I indica l'utilizzo della cava per l'estrazione di materiali industriali; infatti i diritti di estrazione sono della Italcementi S.p.A.. E', alla data del 31 Marzo 2004, l'unica in possesso di un'autorizzazione amministrativa da parte della Regione Sardegna (per 10 anni, dal 7 Novembre 2005 al 6 Novembre 2015). Estrae argillite ed occupa una superficie di 54.800 (cinquantaquattromilaottocento) metri quadrati e nel 2004 ha estratto 5.156 tonnellate di materiale.
L'unica cava dismessa denominata "Monte Leonaxius" vanta una superficie di 3.450 (tremilaquattrocentocinquanta) metri quadrati e risulta come area "parzialmente" rinaturalizzata (natura che riconquista i suoi spazi o ripiantumazione?).
E' quasi superfluo fare cenno al fatto che delle quattro cave in attività non è stato rinaturalizzato (per il momento) nemmeno un metro quadrato.
Ora, se prendiamo una calcolatrice e facciamo un poco di somme, viene fuori che la superficie totale occupata dalle cave nel territorio di Nuraminis è pari a 192.750 (centonovantaduemilasettecentocinquanta) metri quadrati, ovvero più o meno la superficie di 28 campi di calcio di serie A.
Si tratta di un notevole sconvolgimento ambientale: uno stravolgimento orografico dell'ambiente bello e buono che, per quanto si possa parlare di rinaturalizzazione, ripiantumazione e quant'altro, non tornerà più come prima. E' anche vero che, a termine di contratti di concessione, al termine dei lavori, le ditte dovranno rinaturalizzare l'ambiente che hanno devastato e quindi 19,275 ettari di verde non sono proprio da buttare via, però c'è una cosa che mi lascia perplesso: quando finiranno i lavori?
Stando ai dati del 2007 rilasciati dalla Regione Sardegna si parla di periodi di sfruttamento di almeno 10 anni (20 per quella della Italcementi), quindi mi sorge il sospetto che i lavori di rinaturalizzazione li vedranno (forse) i miei nipoti mentre a noi toccherà continuare a sorbirci questo sconcio di natura disastrata.
Con contorno di polveri varie quando tira il maestrale.

Giorgio Ghiglieri

24 agosto 2008

Nuraminis: Le strane storie delle cave (di Giorgio Ghiglieri)



La cava di Monte Crucuris, sulla strada vicinale che collega Nuraminis a Villagreca è stata bloccata con un decreto sospensivo dell'Assessorato all'Industria della RAS.

Questo decreto sospensivo però non ha attinenza con eventuali scempi ambientali, riguarda un presunto vizio di forma insito nella documentazione presentata ma non vi è nessun accenno a cause di altro genere (ambiente). Trattasi di semplice vizio burocratico.

Ciò significa che, per quanto riguarda l'aspetto ambientalistico la cava ha tutto il diritto di esistere e continuare (sic).
Come è possibile questo?
Sono andato a studiarmi la legislazione attuale sulla coltivazione di cave (altro termine meno brutto non l'hanno evidentemente trovato...) e più o meno la situazione è questa:
1- Sulla coltivazione di cava la RAS ha la giurisdizione esclusiva.
2- Possono essere utilizzate le cave preesistenti al varo della legge Regionale anche se inserite nei PUC locali in zone di tutela.
Risulta ovvio che, nel caso in cui vengano rilevate in esse situazioni particolari (scoperta di siti archeologici o fossili), queste ricadono in un quadro di tutela che ne inibisce automaticamente l'utilizzo.
3- La concessione di sfruttamento di una cava è subordinato al ripristino dell'area mediante piantumazione e messa in sicurezza del sito. A tale scopo la RAS obbliga la ditta beneficiaria ad un deposito cauzionale (fidejussione) a garanzia del ripristino dei luoghi. In parole povere, nel caso in cui, per qualsiasi ragione la ditta non mantenesse fede a tale impegno, la RAS utilizzerebbe la somma depositata a titolo cauzionale per avviare il ripristino dei luoghi.
4- La concessione di cava è, ovviamente, subordinata alla presentazione di un progetto dettagliato di operatività e di ripristino che deve passare al vaglio di almeno tre assessorati prima di avere il nulla osta e viene trasmesso, per conoscenza a tutte le amministrazioni interessate. Compresa l'Amministrazione Comunale nella cui area è sita la cava (Leggere: Amministrazione Comunale di Nuraminis)
5- A giugno la RAS ha promulgato una legge che impone a tutti i titolari di concessione di scavo la presentazione di un certificato di impatto ambientale (entro il 16 Novembre 2008), senza il quale qualsiasi attività viene bloccata

Per quanto, dal punto di vista ambientale la cosa possa essere considerata paradossale, queste sono le leggi che regolano il funzionamento delle cave. Difatti risulta alquanto difficile da pensare che si possa ripristinare lo stato preesistente un'area che viene scavata (anche in modo pesante); è normale che, nella maggior parte dei casi sia impossibile ripristinare lo status quo ante ma verrà, come si suol dire, adattata l'area scavata.
Però queste leggi non sono, se andiamo a ben vedere, così assurde, vi sono dei contrappesi che ne limitano le possibilità di sconvolgimento ambientale totale (o, quantomeno cercano di metterci una pezza).
Il fatto stesso che sia obbligatorio il ripristino dei luoghi mediante piantumazione attenua (se così si può dire) l'impatto della modifica ambientale; ovviamente la piantumazione e messa in sicurezza dei luoghi segue delle direttive ben precise le cui linee guida sono dettate dal Corpo Forestale che si fa carico anche delle visite ispettive per verificare che vengano rispettare le regole.
Dato che, chi ha buona memoria ricorda, è capitato spesso che varie ditte, al momento in cui si è trattato di ripristinare i luoghi (quindi spendere) siano sparite nel nulla lasciando degli scempi che tutti noi possiamo ancora vedere in giro per la Sardegna, la RAS ha subordinato al rilascio della licenza, un deposito cauzionale (cospicuo) su cui rivalersi nel caso in cui le ditte non possano o non vogliano rispettare l'ultima parte del contratto.
La materia della coltivazione di cava è, come avrete potuto leggere, quantomeno controversa e cozza, comunque, con qualsiasi visione di tutela ambientale tesa a mantenere lo status quo geografico; questa controversia dà, comunque, spazio a diverse interpretazioni ed offre il fianco, oltre alle proteste genuine delle comunità in cui ricadono queste aree, anche a moti di protesta cavalcati ad arte per interessi che nulla hanno a che fare con la tutela degli interessi della comunità.
Infatti non dimentichiamo che, per il rispetto dell'ultima parte del contratto che autorizza l'usufrutto delle cave, ovvero il ripristino dei luoghi, è necessario realizzare delle opere che creano dei posti di lavoro, la stragrande maggioranza delle volte in loco, ovvero utilizzando maestranze locali (questo sia per ragioni economiche che per politiche che definirei "parzialmente risarcitorie").
Senza stare a nascondersi dietro un dito, tutti noi sappiamo che i posti di lavoro, stando alla crisi attuale, sono una fonte di clientelismo notevole ed avere la possibilità di poter "manovrare" eventuali assunzioni conferisce un immenso potere (politico) a chiunque possa assicurare (millantare?) un posto di lavoro in aree dove il lavoro manca.
Il solito gioco di potere che, spesso, a furia di inutili prove di forza, lascia sul terreno solo delle rovine che nessuno si prenderà mai la briga di ricostruire. Meno che mai i capipopolo delle (presunte) proteste popolari nate, il più delle volte da una mancanza di corretta informazione.
Difatti troppe volte al cittadino comune non viene dato il diritto di conoscere le cose nella loro interezza e si deve accontentare di brandelli di notizie (spesso aleatorie) e prestandosi, quindi troppo spesso, a manovre fatte sulla propria pelle.
Mi verrebbe da dire: come pedine.
Ma forse esagero.....


Nota: Tutta la parte riguardante leggi & regolamenti è volutamente semplificata in modo tale risulti più facilmente comprensibile lo schema legislativo.

Giorgio Ghiglieri

06 agosto 2008

Tuvixeddu: i danni collaterali

Anche l'ultimo grado di giudizio ha dato torto alla RAS.
Oltre questo esiste solo il Giudizio Divino che però, avendo sicuramente cose più importanti da fare, presumo non abbia intenzione di emettere sentenze in materia.
Quindi, a meno di altre estemporanee trovate il vecchio progetto su Tuvixeddu andrà avanti.
Finisce qui (spero) una battaglia di interessi politici (e altro) che, al di là dei costi risarcitori le cui ricadute peseranno sulle tasche di tutti noi (scordatevi che paghino in solido i responsabili) ha avuto anche pesanti ripercussioni dal punto di vista umano e professionale con un costo che nessuno potrà mai risarcire compiutamente.
Parlo di due persone che ho conosciuto all'inizio dell'affare Tuvixeddu e con cui sono sempre stato in contatto per ragioni professionali: sono gli Architetti Livio De Carlo ed Eliana Masoero, i progettisti di Tuvixeddu.
Nonostante abbiano realizzato un progetto per il colle assolutamente sostenibile e rispettoso della salvaguardia di quanto rimasto sul colle delle antiche vestigia archeologiche (basta andare a riguardarsi il progetto per capire di cosa parlo) sono stati additati da certa stampa e da certi personaggi dell'"intellighenzia" locale come i novelli attila del colle arrivando a metterne in dubbio persino le capacità professionali.
Basterebbe andare a rileggersi certe dichiarazioni fatte subito dopo la presentazione (si fa per dire) del progetto fatto in quattro e quattr'otto da Gilles Clement su Tuvixeddu per avere chiaro l'intento denigratorio.
Ciò che mi ha sempre dato il voltastomaco è stato il vedere che nessuno tra i media si è preso la briga di andare a vedere se o non se il progetto dello studio Masoero & De Carlo fosse un progetto sostenibile: non andava bene e basta.
Condannati senza possibilità, non dico di appello (sarebbe stato troppo) ma nemmeno di contradditorio.
In compenso si è assistito ad una genuflessione globale davanti al progetto di Gilles Clement, nuovo messia arrivato in terra sarda per valorizzare il colle di Tuvixeddu con distese di papaveri, teatro all'aperto e fruizione virtuale dei beni archeologici.
Un progetto, dal punto di vista di sostenibilità ambientale al limite del delirante e realizzato in poco meno di due mesi senza conoscere assolutamente le realtà del luogo.
E' ovvio che davanti ad una campagna denigratoria di questo livello, i contraccolpi sia professionali che umani sono stati terribili ed ancora più terribile deve essere stata la sensazione di essere soli ad insistere sulla bontà del progetto e non avere a possibilità di poter spiegare alla comunità le motivazioni del proprio lavoro.
Sicuramente da domani pioveranno sui due architetti (e Coimpresa) una valanga di (false) felicitazioni (saltiamo sul carro del vincitore?), una rivisitazione positiva del progetto e le solite ipocrite pantomime di rito, seppellendo in un solo colpo tutte le critiche al limite dell'insulto.
Ma niente e nessuno potrà mai risarcire questo periodo di vita dei due architetti, vittime insieme al loro progetto di una guerra non loro.

Tuvixeddu: le sentenze del Consiglio di Stato 1

Il Consiglio ddi Stato ha pubblicato in data 4 Agosto 2008 le sentenze sull'affare Tuvixeddu.
In sintesi ha dato torto alla Regione Sardegna annullando tutti i vincoli apposti dalla stessa sull'area di Tuvixeddu e ripristinando de facto il progetto originario della ditta Coimpresa.
Prima di qualsiasi commento e considerazione pubblico in integrale la sentenza del Consiglio di Stato.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.3894/08
Reg.Dec.
N. 1974 Reg.Ric.
ANNO 2008
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 1974/2008, proposto dalla Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente p,t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Vincenzo Cerulli Irelli, Paolo Carrozza e Gian Piero Contu e presso il primo elettivamente domiciliata in Roma, via Dora 1,
contro
la società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Corda, Antonello Rossi e Duccio Maria Traina e presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, via Carducci 4,
e nei confronti
del Comune di Cagliari, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marcello Vignolo, Massimo Massa, Ovidio Marras e Federico Melis, elettivamente domiciliato in Roma, via Portuense 104, presso la sig.ra Antonia De Angelis,
e
della società Cocco Raimondo Costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Corda, Antonello Rossi e Duccio Maria Traina e presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, via Carducci 4,
nonché
del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12,
e
dell’Associazione Italia Nostra O.N.L.U.S., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Dore e presso la propria sede elettivamente domiciliata in Roma, via Sicilia 66,
interveniente ad adjuvandum
e
dell’associazione Legambiente O.N.L.U.S., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Andreozzi e Carlo Pisano ed elettivamente domiciliata in Roma presso la Segreteria del Consiglio di Stato,
interveniente ad adjuvandum
per la riforma
della sentenza del TAR della Sardegna, Sezione II, 8 febbraio 2008, n. 127;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio della società Nuove Iniziative Compresa s.r.l., del Comune di Cagliari, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nonché l’intervento ad adjuvandum dell’Associazione Italia Nostra e dell’associazione Legambiente;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti di causa;
relatore, alla pubblica udienza del 30 maggio 2008, il Consigliere Paolo Buonvino;
uditi, per le parti, gli avv.ti Cerulli Irelli, Carrozza, Contu, Vignolo, Massa, Corda, Rossi, Andreozzi, Traina, Ballero, Dore e l’avv. dello Stato Borgo.
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
Ritenuto in fatto:
1) – Con il ricorso introduttivo di primo grado (n. 168/2007) la società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l. ha chiesto l’annullamento:
- della determinazione 11 gennaio 2007, n. 4 con la quale il Direttore del servizio tutela del paesaggio di Cagliari dell’Assessorato regionale della P.I. ha stabilito di inibire per 90 giorni tutti i lavori riferibili ad opere pubbliche o a carattere privato nella zona Tuvixeddu- Tuvumannu e di sospendere tutti i lavori riferibili alle stesse opere;
- della direttiva del 11 gennaio 2007 n. 19/GAB/XIV.12.2 impartita dall’Assessore regionale della P.I. al Direttore generale del servizio tutela del paesaggio di Cagliari;
- delle disposizioni del 9 gennaio 2007 impartite dal Presidente della regione all’assessorato regionale della P.I., relativo alla inibizione e sospensione dei lavori in corso a Tuvixeddu- Tuvumannu.
Con motivi aggiunti, depositati il 9 maggio 2007, la stessa società ha, poi, chiesto l’annullamento:
- del provvedimento del 21.2.2007, con il quale la Commissione regionale per il paesaggio per la Sardegna, ai sensi dell’art. 138 del D.Lgs. n. 42/2004 ha proposto che il contesto Tuvixeddu-Tuvumannu-Is Mirrionis, fosse dichiarato di notevole interesse pubblico;
- della deliberazione della Giunta n. 51/12 del 12.12.2006, recante “Istituzione della Commissione regionale prevista dall’art. 137 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42”;
- degli atti con i quali l’amministrazione regionale ha chiesto che, a norma dell’art. 138 del D. Lgs. n. 42/2004 la Commissione regionale, di cui all’art. 137 formulasse una proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area Tuvixeddu- Tuvumannu;
- dell’atto del 10 gennaio 2007, con il quale il Direttore generale dell’assessorato regionale della P.I. ha convocato la Commissione regionale di cui all’art. 137 del codice Urbani;
- dell’atto del 15 gennaio prot. n. 335 con il quale il Direttore del servizio Tutela del paesaggio di Cagliari ha comunicato che l’amministrazione regionale - Assessorato della P. I. - aveva avviato il procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico della suddetta zona;
- dei verbali della Commissione regionale per il paesaggio e di tutte le valutazioni e le determinazioni ivi contenute;
- di tutte le riunioni della commissione regionale di cui all’art. 137 del codice Urbani;
- del “Regolamento interno” per i lavori della suddetta commissione regionale.
Con secondi motivi aggiunti, depositati il 16 ottobre 2007, la società ha anche chiesto, infine, l’annullamento della delibera della Giunta regionale della Sardegna che aveva approvato la proposta della commissione regionale di vincolo, che aveva dichiarato di notevole interesse pubblico paesaggistico l’area di Tuvixeddu-Tuvumannu–Is Mirrionis n. 31/12 del 22 agosto 2007, che aveva approvato le controdeduzioni alle osservazioni presentate dai soggetti interessati alla proposta di vincolo e che ha dato mandato agli assessori competenti affinché venisse rapidamente realizzato, anche in collaborazione col comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione ripristino delle suddette aree secondo le indicazioni di cui allo studio del prof. Gilles Clement;
2) - In linea di fatto ha premesso, il TAR, con la sentenza impugnata, che l’area di Tuvixeddu – Tuvumannu – Is Mirrionis, ricadente nell’ambito del centro urbano di Cagliari e oggetto del provvedimento di riqualificazione urbana, è vasta circa 48 ettari. Sul versante ovest di Tuvixeddu si trova una importante necropoli fenicio-punica e romana, sulla quale esiste un vincolo archeologico ex artt. 1, 3 e 21 della legge 1089/1939. Il vincolo riguardava prima una piccola area, ma è stato successivamente allargato fino a coprire l’intera area interessata dalla necropoli d’estensione di circa 12 ettari, protetta in parte da vincolo diretto ed in parte da vincolo indiretto.
Sin dal 1997, il complesso di cui sopra è stato vincolato quasi per intero ai sensi della legge 1497/1939 (vincolo paesaggistico).
A fine anni 70’ il comune di Cagliari ha realizzato, ai margini della suddetta zona, due interventi di edilizia economica e popolare, occupando vaste aree di proprietà privata.
L’area è stata per lungo tempo utilizzata per attività di cava ed stata anche oggetto di dimore abusive occasionali.
La società Coimpresa, ha sottoposto all’attenzione del Comune un progetto di “Riqualificazione urbana e ambientale dei colli di S.Avendrace”. Il consiglio comunale di Cagliari con deliberazione 1 ottobre 1997 n. 169 ha espresso parere favorevole sulla proposta urbanistica presentata dalla Compresa riguardo al PIA di cui alla L.R. 14/1996, ha invitato il Sindaco a stipulare l’accordo di programma ed a ricercare una proposta transattiva extra giudiziale del contenzioso esistente con i proprietari delle aree interessate dagli interventi di E.E.P.
Nel frattempo, il 16.10.1997, la Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali della provincia di Cagliari, costituita ai sensi dell'articolo 2 della legge 1497/1939 e dell'articolo 33 della legge regionale n. 45/1989, aveva apposto il vincolo paesaggistico di cui all'articolo 1, n. 3 e 4 della legge 1947/1939 su un'ampia area che comprende quasi per intero i colli di Tuvixeddu- Tuvumannu, da via San Avendrace sino a Piazza D’Armi.
Per effetto di questo provvedimento della Commissione provinciale, tutti i progetti di modificazione dei luoghi sono stati accompagnati dall'autorizzazione prevista, dapprima, all'articolo 7 della legge 1497/1939, quindi dall'articolo 151 del decreto legislativo n. 490/1999 e, oggi, dall'articolo 146 del decreto legislativo n. 42/2004.
Il progetto della società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l., in particolare, sottoposto all'esame dell'Ufficio tutela del paesaggio, costituito presso l'Assessorato regionale alla pubblica istruzione, ha ottenuto l'autorizzazione n. 3015 del 27/5/1999. In tale provvedimento si articolavano una serie di considerazioni molto favorevoli rispetto al progetto, in particolare si sottolineava che era apprezzabile la scelta di ridefinire totalmente il comparto e che “l'intervento progettato consente di ricucire un brano del tessuto urbano particolarmente significativo nel contesto cittadino”.
Il progetto del parco di Tuvixeddu aveva acquisito il parere della sovrintendenza archeologica di Cagliari in data 20 ottobre 1998 n. 4904/1.
Tra i dati più significativi si rileva che la superficie complessivamente interessata all'intervento è di circa 48 ettari, di cui 34 sono destinati a standards e a zona H -parco archeologico, mentre i 14 residui ad insediamenti edilizi.
In data 27/6/2000, negli uffici del Servizio sistema informativo ambientale, valutazione impatto ambientale ed educazione ambientale (SIVEA), istituito presso l'Assessorato regionale difesa dell'ambiente, e competente in Sardegna per la procedura di valutazione di impatto ambientale, si è tenuta una conferenza istruttoria, alla quale hanno partecipato i rappresentanti dello stesso servizio, degli assessorati regionali alla pubblica istruzione e all'urbanistica, della sovrintendenza archeologica di Cagliari-OR, della soprintendenza ai beni ambientali di Cagliari-OR e dell'assessorato all'urbanistica del Comune di Cagliari.
All'unanimità, la conferenza istruttoria ha approvato la relazione del Servizio (SIVEA) allegata al verbale ed ha escluso che l’intervento, per le sue caratteristiche dovesse essere sottoposto a procedura di VIA.
Il 25 luglio 2000 la Giunta regionale, con deliberazione n. 32/28, ha recepito il parere positivo della conferenza istruttoria del 27/6/2000 accogliendo la proposta dell'Assessore alla difesa dell'ambiente di concerto con quello della pubblica istruzione.
Con deliberazione n. 64 adottata il 25/7/2000, il Consiglio comunale di Cagliari ha approvato la bozza di transazione proposta, nell'ambito dell'accordo di programma dalla Coimpresa e da altri proprietari coinvolti dagli espropri; in virtù di questa proposta il contenzioso esistente è stato definito con un esborso complessivo di 43 miliardi, a fronte di 63 miliardi di debito che risultavano a carico del Comune di Cagliari.
In data 15/9/2000 è stato sottoscritto l'accordo di programma quadro tra il Comune di Cagliari, la Regione Autonoma dalla Sardegna, l'Assessorato regionale degli enti locali, la Società Iniziative Coimpresa, le signore Rosanna e Pier Franca Sotgiu, la Edilstrutture sas e la signora Anna Maria Mulas, concernente “progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace PIA CA 17 Sistema dei Colli.”
L'art. 3, comma 1, primo alinea, dell'accordo di programma stabilisce che la Regione Autonoma dalla Sardegna conferma il finanziamento di cui alla bozza di accordo del PIA CA 17 Sistema dei Colli allegato b), attraverso gli assessorati competenti, si impegna a mettere a disposizione del Comune di Cagliari la somma di 12 miliardi per la realizzazione del Parco Archeologico Urbano.
Il 3/10/2000 è stato, quindi, stipulato un accordo di programma inerente al PIA CA 17, autonomo rispetto all’accordo di programma del 15/9/2000, ma collegato ad esso. L'accordo di programma connesso al PIA CA è stato adottato con delibera di giunta regionale n. 37/1 del 13/9/2000 ed è stato sottoscritto dal Presidente della regione Sardegna, dagli Assessori regionali della programmazione, degli enti locali, dei lavori pubblici e della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport, dall'amministrazione provinciale di Cagliari, dal Comune di Cagliari e dalla società Coimpresa.
Con deliberazione n. 114 del 10.10.2000 il Consiglio comunale di CA ha ratificato l’accordo di programma del 15.9.2000.
Con decreto 21 novembre 2000 n. 180 il Presidente della giunta regionale ha approvato l’accordo di programma relativo al PIA CA 17, mentre con successivo decreto del 29 dicembre 2000 n. 208 lo stesso Presidente ha approvato l’accordo di programma quadro.
Il 17.5.2002 e il 25.5.2003 si è tenuta una conferenza di servizi convocata dal Comune di Cagliari, ai sensi dell’art. 7 della legge 109/1994, per ottenere il parere di tutte le amministrazioni interessate in ordine al progetto delle opere di urbanizzazione primaria predisposto dalla società N.I. Coimpresa; tutte le amministrazioni interessate, compresa la Sovrintendenza archeologica, hanno espresso parere favorevole.
Con convenzione sottoscritta il 5.6.2003 la società N.I. Coimpresa ha ceduto al comune le aree occorrenti per la viabilità, i parcheggi, il verde pubblico, il parco archeologico ed i servizi connessi alle residenze. Inoltre la medesima convenzione ha individuato le aree di proprietà privata destinate ad uso pubblico.
Il 26.11.2003, con la consegna dei lavori per la costruzione del parco archeologico urbano di Tuvixeddu, ha avuto inizio l’attuazione del progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace comprendente anche la viabilità di penetrazione urbana via Cadello - via S. Paolo e d’interconnessione tra l’asse mediano di scorrimento, l’asse litoraneo e le SS 130, 131, 195 e 554 i cui lavori sono stati consegnati il 3.10.2005 – il museo archeologico- i cui lavori sono stati consegnati il 29.12.2005 e gli interventi dei privati.
In data 14 ottobre 2005 il Presidente della giunta regionale, il Sindaco di Cagliari ed la società Coimpresa hanno sottoscritto un atto preventivo di intesa per la individuazione di tratti di viabilità di interesse urbano relativi al PIA, nel quale convenivano che non si riteneva essenziale, per la validità dell’iniziativa nel suo complesso, la realizzazione dell’ultimo tratto della viabilità di piano, individuato come 3° lotto.
Con delibera della Giunta regionale n. 22/3 del 24.5.2006 è stato adottato il PPR, definitivamente approvato con delibera n. 36/7 del 5.9.2006, con tale strumento è stata ampliata l’area già sottoposta a vincolo paesaggistico.
Con decreto 9 agosto 2006 n. 2323 l’assessore regionale della pubblica istruzione ha dichiarato di notevole interesse pubblico, ai sensi dell’art.140 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 la zona di Tuvixeddu- Tuvumannu; con successivo decreto del 12 ottobre 2006 n. 2836 lo stesso assessore ha parzialmente modificato il precedente decreto. Tali atti sono stati impugnati davanti al TAR dall’attuale ricorrente con ricorso n. 856/2006.
Nella camera di consiglio del 15 novembre 2006, fissata innanzi al TAR per la decisione della domanda cautelare, la Regione ha depositato in giudizio il decreto del 14 novembre con il quale l’assessore aveva revocato tali decreti.
Con determinazione del 11 gennaio 2007 n. 4 il direttore del Servizio regionale tutela del paesaggio di Cagliari (a seguito della direttiva impartitagli dall’Assessore della pubblica istruzione) ha inibito e sospeso tutti i lavori relativi alle opere pubbliche e private in corso di realizzazione nel colle di Tuvixeddu – Tuvumannu.
Contro tale determinazione è stato proposto ricorso giurisdizionale, con il quale la società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l. ha dedotto dieci motivi di censura.
Con determinazione del 27 febbraio n. 215 il Direttore del servizio tutela del paesaggio ha revocato il provvedimento impugnato.
In precedenza, con deliberazione n. 51/12 del 12.12.2006, adottata ai sensi dell’art. 137 del D.Lgs. 42/2004, la Giunta regionale aveva istituito una commissione regionale con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili di cui all’art. 136 del codice Urbani.
Con deliberazione n. 1/2 del 9.1.2007 la Giunta stessa ha incaricato l’assessore regionale della P.I. di fare quanto necessario per estendere il progetto di parco archeologico e di museo fenicio punico della zona di Tuvixeddu, in vista di una successiva espropriazione.
La commissione regionale è stata convocata il 10.1.2007, si è poi riunita sette volte ed infine, il 21.2.2007, con otto voti favorevoli ed il voto contrario del sovrintendente per i beni archeologici di CA e OR, ha approvato la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area di Tuvixeddu.
Contro tale provvedimento e contro tutti gli atti del procedimento la società Coimpresa ha proposto motivi aggiunti depositati il 9 maggio 2007.
Con delibera della Giunta del 22 agosto n. 31/12 è stata, infine, approvata la proposta della Commissione regionale di dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico dell’area di Tuvixeddu- Tuvumannu –Is Mirrionis e, con la stessa, è stato dato mandato agli assessori competenti affinché fosse rapidamente realizzato, anche in collaborazione col Comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione ripristino delle suddette aree secondo le indicazioni di cui allo studio del prof. Gilles Clement.
Contro tale ultima deliberazione ha proposto, la stessa società Coimpresa, con ulteriori motivi aggiunti, diciannove nuove censure.
3) - Si è costituita in giudizio in primo grado, resistendo ai detti gravami, l’Amministrazione regionale intimata.
Si è costituito in giudizio anche il Ministero per i beni e le attività culturali che ha eccepito pregiudizialmente il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito, ha contestato le tesi esposte in ricorso, chiedendone il rigetto.
Si è costituito in giudizio anche il Comune di Cagliari che chiede di essere sollevato da qualunque responsabilità che la società privata avesse far valere nei suoi confronti.
Con ordinanza collegiale n. 102/2007 il TAR ha disposto un sopralluogo nelle aree oggetto della controversia, al quale hanno partecipato i difensori e i tecnici della società ricorrente. Il relativo verbale è stato sottoscritto per presa visione ed adesione dai rappresentanti delle parti, nonché dai rappresentati della Regione che hanno inserito, nello stesso, alcune osservazioni.
Il sopralluogo è stato effettuato dal Collegio in data 20/9/2007, unitamente ai difensori delle parti: delle relative operazioni è stato redatto, dalla segretaria, apposito verbale, allegato agli atti di causa.
4) – Il TAR, con la sentenza appellata, dopo avere rigettato l’eccezione pregiudiziale di difetto di legittimazione passiva del Ministero per i beni e le attività culturali, ha anche rilevato che, nel procedere all’esame del ricorso, era da precisare che il gravame introduttivo era stato proposto anche contro una serie di atti dei quali, alcuni, non avevano natura provvedimentale, altri erano provvedimenti che avevano perso efficacia (sospensione dei lavori per 90 giorni), altri erano stati revocati dalla stessa amministrazione, o adottati da organi incompetenti, sicché, per questi, era da dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse al loro annullamento.
Quindi i primi giudici, atteso il consistente numero delle censure dedotte, hanno ritenuto che le stesse potessero essere associate per temi connessi.
I primi giudici hanno, quindi, affrontato il primo gruppo di motivi di ricorso, attinente ad aspetti “formali” relativi alla procedura di nomina della Commissione e, specificamente, la delibera n. 51/12 del 12.12.2006; al riguardo, hanno ritenuto fondate le censure secondo cui detta Commissione avrebbe dovuto essere istituita con legge regionale o con regolamento e che le Commissioni provinciali per il paesaggio, di cui all’art. 33 della L.R. n. 45/89, non erano “decadute”, ma ben potevano ancora operare; per l’effetto, poiché l’illegittimità della delibera istitutiva della Commissione investiva tutti i successivi atti del procedimento e, in particolare, tutti gli atti della Commissione stessa, compresa la proposta di vincolo e la delibera di Giunta che approvava tale proposta; il TAR, oltre ad annullare la predetta delibera di nomina della Commissione e tutti i successivi atti da questa assunti, è pervenuto anche all’annullamento, per invalidità derivata, della stessa delibera di Giunta impositiva del contestato vincolo.
5) - Il TAR ha, poi, ritenuto che quanto detto comportava che non sarebbe stato necessario procedere all’esame degli altri motivi di illegittimità dedotti; sennonché, attesi i riflessi che le determinazioni contestate rivestivano per il territorio del comune di Cagliari e considerati, altresì, l’imponente documentazione prodotta, la palese fondatezza di molte censure dedotte, il dispendio di energie e mezzi difensivi, la complessa ricostruzione dei fatti e dei luoghi che avevano indotto il Collegio a svolgere un apposito sopralluogo in situ, hanno anche ritenuto opportuno procedere all’esame di alcuni motivi, seguendo il criterio dell’aggregazione per connessione, con l’assorbimento dei rimanenti motivi.
5.1) - Così procedendo, il TAR ha ritenuto, anzitutto, illegittima la nomina della detta Commissione anche per la carenza di idonea documentazione in relazione alle specifiche professionalità dei soggetti “esterni” nominati dalla giunta (le modalità di nomina dei membri della commissione risentivano, infatti, della mancanza di una fonte gerarchicamente superiore che avrebbe dovuto prevedere in astratto i requisiti ed i relativi criteri di valutazione, in linea con le prescrizioni contenute nel testo unico; tanto che le nomine degli esperti “esterni” sono avvenute “visti i curricula”, senza la predeterminazione, a tal fine, di alcun criterio e senza che gli stessi fossero neppure allegati alla delibera); sempre al riguardo, i primi giudici hanno anche osservato che la scelta di detti membri della Commissione, per non apparire arbitraria e suscettibile di essere influenzata da opinioni ed orientamenti soggettivi, doveva essere preceduta dalla predeterminazione ed individuazione degli elementi caratterizzanti l’idoneità tecnica del soggetto destinato a ricoprire quell’incarico, idoneità che solo con una qualificata pluriennale e documentata professionalità ed esperienza, come richiesto testualmente dall’art. 137 del codice Urbani, può essere garantita, ma che niente di tutto questo era presente nella delibera impugnata.
Sempre in relazione ad aspetti formali dell’atto in questione il TAR ha, poi, condiviso la censura in cui si lamentava che alcuni componenti di diritto della commissione non avevano partecipato alle deliberazioni e si erano fatti sostituire da delegati; al riguardo i primi giudici hanno, tra l’altro, rilevato che la commissione regionale, istituita ai sensi dell’art. 137 del codice Urbani, deve formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico di immobili di particolare interesse pubblico e che, come tale, è composta da soggetti dalla stessa norma indicati, svolgenti funzioni predeterminate nell’ambito della P.A. e da soggetti esterni, esperti nella materia de qua; e che tale composizione, legislativamente stabilita e caratterizzata da alte professionalità, ad avviso della Sezione, configurava un collegio perfetto, che doveva sempre operare col plenum dei suoi componenti; tenuto conto, quindi, della funzione attribuita alla commissione nel contesto del procedimento, il consiglio regionale, con una legge o con un regolamento, avrebbe dovuto stabilire quale configurazione attribuirle in astratto e, in tale sede, apprezzare opportunamente la circostanza che l’art. 137 del codice Urbani parla, per alcuni componenti, di membri “di diritto”, imponendo agli organi regionali l’obbligo di garantire la presenza fissa di un nucleo di componenti insostituibili; diversamente da quanto succedeva in precedenza, con il codice Urbani le funzioni di queste commissioni sono state, in realtà, potenziate; ora devono predisporre delle proposte motivate “con riferimento alle caratteristiche storiche culturali, naturali, morfologiche ed estetiche degli immobili o delle aree che abbiano significato e valore identitario del territorio in cui ricadono..”, e non solo, ma, nelle stesse, devono anche indicare “una specifica disciplina di tutela, nonché l’eventuale indicazione di interventi di valorizzazione degli immobili…”; a tale potenziamento di funzioni ha fatto però illegittimamente seguito – sempre ad avviso dei primi giudici - una dequalificazione della fonte istitutiva e, comunque un’inammissibile frettolosa imprecisione nella definizione delle regole di costituzione e di funzionamento.
5.2) - I primi giudici hanno, quindi, esaminato e accolto il complesso di censure volte a contestare, anche in ragione di un sostanziale difetto istruttorio, l’esatta valutazione dello stato dei luoghi da parte della Commissione; e, al riguardo, hanno, anzitutto rilevato che detto organo non aveva considerato la situazione attuale dei luoghi (evidenziata dai rappresentanti del Comune nelle due audizioni del 29 gennaio 2007 e del 21 febbraio 2007), che appariva caratterizzata da una serie di lavori in avanzata fase di realizzazione, che avevano profondamente modificato le aree in questione.
Inoltre, ha osservato il TAR, uno dei punti essenziali evidenziati dalla Commissione nella relazione, ai fini dell’ampliamento del vincolo, è stato quello del valore archeologico e della scoperta di nuovi reperti nell’area; sennonché, la circostanza del ritrovamento di centinaia di tombe puniche, dopo il 1997, non risultava supportata da alcun elemento di prova; e proprio sotto il profilo della tutela archeologica l’arch. Santoni, Sovrintendente per i beni archeologici di Cagliari e Oristano e membro della Commissione, aveva espresso il proprio parere contrario all’estensione del vincolo sulla base delle motivazioni contenute nella nota n. 1048 del 12 febbraio 2007, allegata al verbale n. 6 in pari data.
Se pure, quindi, ha osservato, ancora, il TAR, nella relazione della Commissione erano stati messi in evidenza il paesaggio storico e le valenze storiche dell’area, non di meno il successivo passaggio era quello di mettere tali studi in stretta relazione con la realtà e, in particolare, con le modifiche che il territorio aveva subito nel corso degli anni; ma nessuna valutazione emergeva, sempre ad avviso dei primi giudici, dalla relazione non solo in ordine alla situazione della zona, così come si era evoluta, anche a seguito dei lavori – di non poco conto, come emerso nel corso del predetto sopralluogo - intrapresi dal comune e dai privati, in attuazione dell’accordo di programma, ma neppure in ordine alla eventuale collocazione degli interventi interrotti improvvisamente nella giusta logica di tutela del paesaggio esistente (al riguardo, il TAR ha ricordato l’effettuazione di lavori imponenti, quali ad esempio una lunga galleria, l’asse viario di interesse urbano via Cadello-via San Paolo, profondi scavi di fondazione per realizzare gli edifici previsti dall’accordo di programma sulla via Is Maglias, un edificio già realizzato per l’ingresso al museo, nonché opere di contenimento, gabbie imbrigliate destinate al rinverdimento, etc.. il Collegio ha anche potuto verificare che attraverso i “coni visivi”, con base sulla linea di perimetrazione verso l’area tutelata, in via Liguria, non si riesce ad intravedere nessun panorama né alcuno spettacolo di particolare bellezza, essendo tali punti, come individuati dalla Commissione, del tutto coperti dalle costruzioni esistenti che non consentono una visuale utile).
Né a contrastare quanto al riguardo osservato nel corso del ripetuto sopralluogo poteva – sempre ad avviso dei primi giudici - essere utilmente richiamato il sopralluogo effettuato dalla Commissione in data 29 gennaio 2007, la stessa essendosi limitata, in tal sede, alla verifica delle opere di cui al cantiere comunale del parco archeologico, mentre, per il resto, era giunta ”fino alla parte alta del colle di Tuvixeddu, alla villa Mulas, da dove ha potuto osservare da diversi punti le visuali che la morfologia dei luoghi consente di traguardare sia in direzione di S. Avendrace e S. Gilla sia verso via Is Maglias e il Colle S. Michele e tutti gli altri coni visuali percepibili in tutta l’area”, mentre aveva trascurato di visitare – e anche solo di citare - tutte le aree oggetto degli ingenti lavori da parte delle società Coimpresa e Cocco Raimondo, laddove, per una approfondita ed esaustiva istruttoria, tutta l’area ricompresa nel progetto di riqualificazione urbana avrebbe dovuto essere oggetto di analisi e di verifica concreta sul posto, al fine di acquisire una esatta conoscenza dello stato dei lavori e dei luoghi, non ritenendosi sufficiente la sola visuale dall’alto; in particolare, e tra l’altro, hanno ancora osservato, i primi giudici, che la Commissione non aveva tenuto conto che gli aspetti urbanistici ed edilizi, che caratterizzavano la corrente situazione urbana complessiva, costituivano elementi inscindibili del paesaggio e delle relative prescrizioni di tutela, né aveva tenuto conto dei processi insediativi che avevano portato all’attuale edificato, né del fatto che gli interventi edilizi ed infrastrutturali previsti dagli accordi di programma erano quasi tutti localizzati nelle depressioni e negli spazi creati dalla dismessa attività di cava.
5.3) - Il TAR ha, quindi, esaminato e condiviso il gruppo di censure riguardanti la partecipazione del Comune alle fasi del procedimento e, al riguardo, ha ritenuto che, dagli atti depositati in corso di causa, era emerso che il Comune medesimo era stato sentito due volte dalla Commissione, ma che, in effetti, non si era tenuto conto, in tali audizioni, di quanto dallo stesso evidenziato sia in relazione all’accordo di programma, sia in relazione alle aspettative dei privati e delle molteplici amministrazioni coinvolte, sia ai lavori in avanzata fase di realizzazione, che avevano profondamente modificato le aree, sia agli ingenti costi già sostenuti, sia, infine, alle cessioni delle aree da restituire ai privati; non vi era, quindi, dubbio circa la sostanziale estromissione del Comune nella fase istruttoria da parte della Commissione e le stesse audizioni, fatte senza che al Comune fossero neppure fornite per tempo le necessarie informazioni, non avevano sortito alcun effetto, neppure un dubbio, sulle decisioni già assunte, in aperta violazione del principio di cooperazione di cui all’art. 132 del codice Urbani.
Principio, sempre ad avviso del TAR, nuovamente violato, in maniera anche più marcata, da parte della Giunta regionale, dopo la fine dei lavori della Commissione, nella fase in cui il Comune ha espresso, sulla proposta di vincolo, le proprie osservazioni; come, infatti, dedotto da detta Amministrazione comunale in sede di motivi aggiunti, la Regione non ha tenuto in alcun conto quanto da essa precisato sia nella premessa che nel contesto delle specifiche osservazioni contenute nel documento inviato alla Presidenza della Giunta al fine di evidenziare una serie di problematiche molto complesse, derivanti dall’apposizione del vincolo nelle aree Tuvixeddu-Tuvumannu-Is Mirrionis.
Al riguardo, i primi giudici hanno ritenuto, tra l’altro, che la partecipazione del Comune al procedimento de quo era stata solo “formale” e non “reale”, come invece prescritto dal codice Urbani sia nell’art. 132, sia nell’art. 138, con i quali è stato riproposto dal legislatore il principio della “leale collaborazione” fra enti locali, corollario del canone costituzionale del buon andamento dell’amministrazione; e, sempre secondo il TAR, il Comune aveva inteso sottoporre all’attenzione della Commissione e, poi, della Giunta, la situazione reale dei luoghi, il livello di compromissione del sito, anche per via degli interventi risalenti che lo avevano reso del tutto diverso da quello illustrato nella proposta della Commissione sulla base di cartografie storiche e su toponimi; in ogni caso, la Giunta non aveva fornito alcuna risposta esauriente né su tali profili, né in relazione all’ampliamento così esteso del vincolo né, in genere, con riguardo ad alcuna delle numerose osservazioni dal Comune stesso formulate.
5.4) - I primi giudici hanno, quindi, affrontato il gruppo di censure riguardanti la mancata considerazione dell’accordo di programma.
Al riguardo, il TAR ha osservato, tra l’altro, che, la situazione in fatto era del tutto peculiare in quanto, con l’accordo di programma di cui si tratta, non si era inteso perseguire un interesse esclusivamente urbanistico, ma anche paesaggistico, tanto che era stato predisposto un “Progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei colli di S. Avendrace”; che vaste porzioni delle aree in questione erano state sottoposte a tutela archeologica e paesistica, durante un percorso durato 10 anni e, con l’accordo, l’amministrazione comunale si era posta una serie di obiettivi, anche di tutela e valorizzazione ambientale, oltre che di strumentazione urbanistica (basti pensare alla creazione di un vasto parco urbano, collegato al più ampio sistema dei parchi collinari cittadini, alla valorizzazione della zona archeologica, al recupero ambientale delle zone delle cave, con eliminazione delle situazioni di pericolo e di degrado causate dalle attività estrattive); tutto questo nel rispetto di quei vincoli che sia la Sovrintendenza archeologica che quella paesistica avevano posto sulle aree in questione. Inoltre, sempre ad avviso del TAR, era da tenere conto anche del fatto che l’accordo di programma quadro era stato sottoscritto il 15 settembre 2000 dal comune di Cagliari, dalla Regione sarda e da soggetti privati, dopo che sul progetto era stato dato motivato parere positivo (27 maggio 1999) dall’Assessorato della pubblica istruzione della Regione stessa – Ufficio Tutela del paesaggio - preceduto da quello, pure favorevole, del Ministero per i beni culturali ed ambientali n. 4904/1 in data 20 ottobre 1998; e che, infine, la stessa Giunta regionale, con del. n. 32/28 del 25 luglio 2000, aveva ratificato la proposta degli Assessori regionali della difesa ambiente e della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport, a conclusione dei risultati della conferenza istruttoria del SIVEA, promossa ai sensi dell’art. 13 della l.r. 18.1.1999 n. 1, con la dichiarazione della non assoggettabilità alla procedura di VIA del progetto; con tutto ciò volendo evidenziare, i primi giudici, che i profili di tutela paesaggistica, nel progetto in questione, erano stati ben valutati e considerati da parte delle amministrazioni e degli uffici preposti alla tutela di questo interesse, che, infine, unanimemente avevano considerato tale progetto valido, coerente e utile al fine di recuperare una vastissima area urbana in stato di grave degrado.
Elementi, tutti questi, che la Regione non avrebbe potuto sempre, secondo il TAR, di fatto trascurare, anche a cagione del fatto che all’accordo in parola era già stata data, dalle parti, ampia esecuzione.
In definitiva, ha rilevato il TAR, l’accordo di programma quadro non è stato considerato non solo sotto il profilo giuridico, quale istituto di programmazione negoziata avente efficacia vincolante fra le parti, ma neppure sotto il profilo fattuale, nel senso della sua (se pur parziale) già intrapresa esecuzione: in altre parole, la Regione ha deciso come se l’area non fosse stata affatto coinvolta dai lavori previsti nell’accordo, pertanto, come se tale strumento non esistesse e non avesse avuto alcuna concreta attuazione; e la stessa “nuova accresciuta sensibilità” affermata nella relazione della Commissione, nella materia dei beni paesaggistici, deve fare i conti con la dimostrazione certa ed inconfutabile che il precedente regime di tutela e salvaguardia della zona in questione riferito ad una determinata perimetrazione delle aree sia del tutto inidoneo a garantire congruamente il suo valore paesaggistico, sicché, in tal caso, devono essere evidenziati con assoluto scrupolo i fatti nuovi richiedenti un diverso e più incisivo intervento, tenendo sempre presente che si va ad incidere su situazioni soggettive particolarmente qualificate (diritti nascenti da accordi negoziati), ancorate a legittimi affidamenti, creati, invero, dalla stessa amministrazione regionale, che dopo anni di concertazione concordata, oggi decide di cambiare “la filosofia del paesaggio”, sostituendo a quella dell’edificato quella del vuoto.
5.5) - Da ultimo, i primi giudici hanno esaminato e condiviso il gruppo di censure che si appuntavano sulla individuazione di una serie di comportamenti ritenuti significativi ai fini dell’individuazione di uno sviamento di potere, sia nell’attività della Commissione, sia in quella dell’amministrazione regionale.
In particolare, il TAR ha ritenuto che vizi siffatti fosse possibile riconoscere, anzitutto, nel fatto che l’amministrazione regionale, nella stessa delibera (n. 31/12 del 22 agosto 2007) di approvazione della proposta di vincolo, aveva dato mandato agli assessori competenti “affinché venga rapidamente realizzato, anche in collaborazione con il comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree di Tuvixeddu – Tuvumannu - Is Mirrionis secondo le indicazioni contenute nello studio del prof. Gilles Clement”; al riguardo, come precisato in sentenza, l’esistenza, già al momento dell’approvazione del vincolo, di un altro progetto sostitutivo del precedente faceva sorgere il legittimo sospetto che l’idea originaria fosse quella di rendere impossibile il completamento delle opere avviate e che il fine perseguito non fosse tanto, quindi, quello di tutelare e salvaguardare un’area pregevole, quanto di cambiare la tipologia di intervento, essendo cambiata, nel frattempo, più che la sensibilità verso il paesaggio, l’orientamento della Giunta regionale e del suo Presidente nei confronti di tale area cittadina; e numerosi erano gli indizi rivelatori in tal senso, puntualmente, di seguito, elencati e puntualizzati dal TAR, tra loro tutti finalisticamente concatenati.
6) - Per i motivi tutti che precedono i primi giudici, con la sentenza appellata, in accoglimento del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti ed assorbiti gli ulteriori motivi, hanno annullato: la delibera della Giunta regionale n. 51/12 del 12 dicembre 2006, istitutiva della Commissione regionale per il paesaggio, la proposta di vincolo della Commissione del 21 febbraio 2007 e la delibera di Giunta n. 31/12 del 22 agosto 2007, di approvazione della proposta della Commissione regionale per il paesaggio; inoltre, ha annullato le delibere della Giunta n. 1/2 del 9 gennaio 2007 e n. 5/23 del 7 febbraio 2007; mentre tutti gli altri atti impugnati erano da ritenersi atti endoprocedimentali, non aventi natura di provvedimenti autonomamente lesivi, essendo stati emanati nell’ambito della diverse fasi procedimentali, preordinate esclusivamente all’emanazione degli atti definitivi, il cui annullamento determinava, conseguentemente, la perdita di ogni effetto degli stessi .
7) – La sentenza è appellata dalla Regione Sardegna che ne deduce l’erroneità sotto molteplici profili e chiede che, in riforma della stessa, venga respinto il ricorso di primo grado.
Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali aderendo alle tesi esposte con l’appello.
Sono intervenute ad adjuvandum le associazioni o.n.l.u.s. Italia Nostra e Legambiente.
Si sono anche costituite in giudizio, resistendo e insistendo per la conferma della sentenza appellata, la società Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l., la società Cocco Raimondo Costruzioni s.r.l. e il Comune di Cagliari.
Con memorie conclusionali le parti ribadiscono i rispettivi assunti difensivi.
Considerato in diritto
1) – Con la sentenza impugnata il TAR, in accoglimento del ricorso n. 168/2007, proposto dalla società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l., ha annullato la delibera della Giunta regionale della Sardegna n. 51/12 del 12 dicembre 2006, istitutiva della Commissione regionale per il paesaggio, la proposta di vincolo formulata della Commissione stessa in data 21 febbraio 2007, nonché la delibera di Giunta n. 31/12 del 22 agosto 2007, di approvazione della proposta della Commissione regionale per il paesaggio e conseguente apposizione di vincolo paesaggistico; ha, inoltre, annullato le delibere della stessa Giunta n. 1/2 del 9 gennaio 2007 e la n. 5/23 del 7 febbraio 2007.
2) - Si duole, anzitutto, la Regione appellante del fatto che il TAR abbia, dapprima, respinto le istanze cautelari avanzate dalla società ricorrente e, poi, ne abbia, invece, accolto nel merito il ricorso, con accresciute conseguenze di carattere risarcitorio in capo alla stessa amministrazione regionale; e ciò sebbene le censure (accolte dal TAR con la sentenza appellata), relative alla legittimità della costituzione della Commissione regionale, di cui si dirà, abbiano fatto oggetto di ampia trattazione in primo grado già nella predetta fase cautelare.
2.1) - Tale doglianza appare priva di consistenza in quanto nella fase cautelare i primi giudici hanno, logicamente, tenuto conto, in misura preminente, dell’interesse generale a non vedere compromesso definitivamente il territorio nelle more del giudizio, la salvaguardia dei beni ambientali, particolarmente avvertita anche a livello costituzionale, avendo, coerentemente prevalso, nel legittimo bilanciamento degli interessi, sulla considerazione dell’eventuale pregiudizio patrimoniale che, in prospettiva, la Regione avrebbe potuto subire a seguito dell’accoglimento del ricorso nel merito susseguente all’accoglimento della ripetuta domanda di sospensione dell’efficacia degli atti impugnati.
2.2) - Quanto al fatto – pure in questa sede lamentato - che il TAR, in modo che si assume essere perplesso, oltre a pronunciarsi sull’assorbente (per la Regione) pronuncia in tema di costituzione e legittimità della Commissione regionale, abbia, con ampio obiter dictum, affrontato anche le censure di merito, può osservarsi che costituisce, invero, una ordinaria modalità nella produzione della giustizia amministrativa che, una volta definito il gravame in sede preliminare o di accoglimento di censure di carattere formale, si indulga, non di rado, da parte del giudicante, anche ad affrontare il merito delle questioni sottoposte e soddisfare, così l’interesse delle parti a conoscere quale sarebbe stata, comunque, la risoluzione della controversia sul piano sostanziale, onde meglio orientare le proprie successive scelte a livello processuale o operativo (e così consentendo, per esemplificare, alla stessa amministrazione di meglio definire la propria azione laddove, a seguito del giudicato, costretta a reiterare l’esercizio dell’attività amministrativa, una volta sfrondata la propria azione dai rilevati vizi formali).
3) – Deduce, quindi, l’appellante l’erroneità della sentenza impugnata, anzitutto, nella parte in cui i primi giudici hanno accolto il gruppo di censure con le quali la società ricorrente aveva contestato la legittimità della costituzione della Commissione regionale prevista dall’art. 137 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (delibera di Giunta regionale n. 51/12 del 2006 cit.).
In particolare, assume la deducente, la sentenza stessa errerebbe palesemente in ordine alla qualificazione del Codice Urbani di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 (specie dopo le integrazioni di cui al d.lgs. n. 157 del 2006) e delle norme in esso contenute, omettendo di considerarlo come “legge di riforma economico sociale”, abrogativo della normativa regionale previgente in contrasto con esso e costituente limite alla potestà regionale esclusiva ai sensi dell’art. 3 dello Statuto sardo; così come errerebbe nel non ritenere applicabili al caso in esame le norme statutarie e i principi generali in ordine agli effetti sulla legislazione regionale conseguenti all’introduzione di una legge statale di riforma economico sociale che innova i principi in materia (norma che avrebbe, per i suoi specifici connotati, carattere autoapplicativo); ed errerebbe anche sul significato dell’art. 137, u.c., del Codice in ordine all’ultrattività delle vecchie Commissioni provinciali per il paesaggio, già disciplinate, nella Regione Sardegna, dalle disposizioni di cui all’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989; con l’aggiunta che le Commissioni regionali operanti sotto la precedente consiliatura dovrebbero ritenersi da tempo, ormai, definitivamente cessate (ai sensi sia dello stesso, ora citato, art. 33, sia, comunque, a mente della disciplina di cui alla l.r. n. 11 del 1995) e neppure operanti – per divieto normativo – in regime di prorogatio.
Il nuovo Codice, invero, assume, ancora, la Regione, avrebbe profondamente modificato i principi della materia e, quindi, anche la cornice di riferimento per le Regioni a statuto speciale; lo stesso avrebbe, introdotto, infatti, un radicale mutamento della nozione di paesaggio, di tutela paesaggistica e di vincolo paesaggistico; la Regione Sardegna manterrebbe, è vero, la propria competenza esclusiva in materia di ambiente e paesaggio, ma, fino a che non ne farà nuovo esercizio, adeguandosi ai principi del Codice Urbani stesso, per effetto dell’art. 57 dello Statuto, troverebbe in essa applicazione la legislazione statale di riforma; in particolare, l’ora citato art. 57 prevede che: “nelle materie attribuite alla competenza della regione, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali, si applicano le leggi dello Stato” (norma, quindi, si assume, per certi versi analoga a quella contenuta nell’art. 10 della c.d. legge “Scelba” n. 62 del 1953); la legge dello Stato contenente nuovi principi fondamentali avrebbe, quindi, effetto abrogativo delle leggi regionali non conformi e sarebbe immediatamente applicabile nelle Regioni stesse; in conclusione, deduce, ancora, l’appellante, il Codice Urbani non avrebbe fatto venire meno eventuali competenze esclusive delle Regioni, ma, fino all’esercizio concreto di tali competenze, in armonia con i principi del Codice, questo avrebbe valore suppletivo ed i suoi nuovi principi dovrebbero trovare applicazione diretta anche nelle Regioni e, per ciò che qui interessa, nella regione Sardegna, non essendo la previgente legislazione regionale in armonia con i principi introdotti dalla novella normativa statale.
4) - La complessa censura ora riportata è infondata.
Al riguardo giova ricordare che la Corte Costituzionale (cfr. sent. 31 maggio 2001, n. 170) ha ripetutamente escluso qualsiasi rilievo decisivo alla autoqualificazione di riforma economico-sociale, contenuta in taluni contesti normativi, direttamente operata dal legislatore, occorrendo, invece, far riferimento alla obbiettiva natura della norma in discussione (cfr. anche le sentenze della stessa Corte Costituzionale n. 355 del 1994 e n. 151 del 1986); e a, altresì, evidenziato l'esigenza di unità delle scelte politiche fondamentali della Repubblica, esigenza a difesa della quale è appunto posto il limite alla potestà normativa regionale o, se del caso, provinciale.
Atteso, infatti, l'evidente vincolo che in tale modo potrebbe essere posto alla concreta esplicazione della potestà normativa locale, la stessa Corte ha costantemente affermato che non qualsiasi modifica legislativa merita di essere definita di "riforma economico-sociale", spettando, invece, tale qualità solo a quelle norme che corrispondono a scelte di “incisiva innovatività” in settori qualificanti la vita sociale del Paese e, in particolare, a quelle che mirano a strutturare tali settori attraverso istituzioni che, per la natura degli interessi che coinvolgono, non possono che valere sull'intero territorio nazionale; e che non tutte le disposizioni contenute in una legge di riforma hanno il carattere di “norma fondamentale”, dovendo questo essere riconosciuto esclusivamente ai principi fondamentali enunciati o, comunque, desumibili (cfr., fra le ultime, le sentenze n. 477 del 2000 e n. 482 del 1995), ovvero a quelle disposizioni che siano legate ai principi fondamentali da un vincolo di coessenzialità o di necessaria integrazione (cfr. sentenza n. 323 del 1998).
Fatta tale premessa, giova ricordare, per ciò che attiene al presente caso, che, nel d.lgs. n. 42 del 2004 - in cui non si parla, comunque, espressamente di disciplina normativa di fondamentale riforma economico sociale – è previsto,all’art. 7, che “il presente codice fissa i principi fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale. Nel rispetto di tali principi le regioni esercitano la propria potestà legislativa”.
In questo contesto, deve ritenersi che l’art. 137 dello stesso Codice miri semplicemente a ridisciplinare, sul piano strutturale-organizzativo, le Commissioni provinciali previste dall’art. 2 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (regolamento per l’applicazione della legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali), per le quali l’originaria formulazione del Codice Urbani – art. 137 - prevedeva, che: “con atto regionale è istituita per ciascuna provincia una commissione con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) e delle aree indicate alle lettere c) e d) dell'articolo 136”; e che “della commissione fanno parte di diritto il direttore regionale, il soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio, il soprintendente per i beni archeologici competenti per territorio”; mentre “i restanti membri, in numero non superiore a sei, sono nominati dalla regione tra soggetti con particolare e qualificata professionalità ed esperienza nella tutela del paesaggio”.
Il testo dell’art. 137 ora detto è stato modificato dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, nei termini che seguono:
“1. Ciascuna regione istituisce una o più commissioni con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 136 e delle aree indicate alle lettere c) e d) del comma 1 del medesimo articolo 136.
2. Di ciascuna commissione fanno parte di diritto il direttore regionale, il soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio, il soprintendente per i beni archeologici competenti per territorio nonché due dirigenti preposti agli uffici regionali competenti in materia di paesaggio. I restanti membri, in numero non superiore a quattro, sono nominati dalla regione tra soggetti con qualificata, pluriennale e documentata professionalità ed esperienza nella tutela del paesaggio, eventualmente scelti nell'ambito di terne designate, rispettivamente, dalle università aventi sede nella regione, dalle fondazioni aventi per statuto finalità di promozione e tutela del patrimonio culturale e dalle associazioni portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349. Decorsi infruttuosamente sessanta giorni dalla richiesta di designazione, la regione procede comunque alle nomine”.
Così operando, peraltro, il legislatore nazionale, con norma valida per tutte le Regioni, si è limitato a dare facoltà alle stesse di istituire non più necessariamente una Commissione per ogni provincia, ma, se del caso, anche una sola Commissione per tutta la regione, senza, peraltro, imporre in alcun modo, l’una o l’altra opzione; inoltre, ha previsto che nei detti organi collegiali vengano inseriti due dirigenti regionali preposti a uffici di settore e ha ridotto da sei a quattro gli esperti, per i quali ha inteso individuare le possibili fonti di provvista.
Ebbene, non può certamente dirsi che modifiche di portata strutturale-organizzativa così modesta e destinate, potenzialmente, a trovare, nelle singole Regioni, soluzioni variamente differenziate date le opzioni offerte, possano assurgere al rango di fondamentali norme di principio di riforma economico-sociale; tanto più che non si tratta di norma destinata ad operare quale forma di tutela diretta dei beni paesaggistico-ambientali o volta a incidere direttamente sui titolari degli stessi o introdotta a diretto beneficio della collettività in materia, ma solo a riconoscere un certo spazio, nelle Commissioni stesse, alla dirigenza regionale di settore, con sacrificio della componente esterna, ovvero a dare indicazioni circa le possibili alternative di scelta di tale ultima componente.
Se la norma fosse dotata della rilevante portata che la Regione appellante ritiene, nelle proprie difese, di assegnarle, non si comprenderebbe, del resto, il motivo per cui lo stesso legislatore nazionale, con il comma 3 del novellato art. 137 (modifica introdotta dal citato d.lgs. n. 157 del 24 marzo 2006), abbia previsto che, “fino all'istituzione delle commissioni di cui ai commi 1 e 2, le relative funzioni sono esercitate dalle commissioni istituite ai sensi della normativa previgente per l'esercizio di competenze analoghe” e, quindi, dalle pregresse Commissioni provinciali, della cui legittimità, sotto il profilo della struttura costitutiva - e in attesa dell’adeguamento della disciplina regionale – lo stesso legislatore nazionale non ha, evidentemente, dubitato; ciò è confermato dalla Relazione di accompagnamento al medesimo d.lgs. n. 157 del 2006 (dalla stessa appellante richiamata nelle proprie difese) ove è precisato che “si è aggiunto, infine, un comma 3 contenente una previsione transitoria necessaria ad evitare la paralisi delle commissioni provinciali in attesa che le Regioni provvedano alla nomina delle nuove commissioni in base alla presente disciplina”.
E la mantenuta operatività delle Commissioni provinciali regolate dalla pregressa disciplina è pure pienamente confermata dall’art. 158 dello stesso d.lgs. n. 42 del 2004, a mente del quale “fino all’emanazione di apposite disposizioni regionali di attuazione del presente codice restano in vigore, in quanto applicabili, le disposizioni del regolamento approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357” (di cui, come si ripete, l’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989 costituisce espressa attuazione).
In questa situazione deve ritenersi che, per ciò che attiene alla Regione Sardegna (dotata, tra l’altro, statutariamente, ai sensi dell’art. 57 del citato Statuto sardo, di competenza legislativa nella materia ambientale, giusta quanto pure ricordato, al riguardo, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 2006, dalla stessa appellante pure richiamata), sia tuttora pienamente vigente il disposto di cui all’art. 33 della legge regionale n. 45 del 22 dicembre 1989, il quale prevede una peculiare composizione (per certi versi, più vicina, quanto a partecipazione ad essa di tecnici regionali, a quella indicata dal novellato art. 137 del d.lgs. n. 42/2004, mentre se ne discosta per ciò che attiene alle nomine di fonte “politica”) delle Commissioni provinciali di cui all’art. 2 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, che si differenzia rispetto a quella, a suo tempo, da quest’ultima norma prevista, così come dalla composizione di cui all’originario art. 137 del d.lgs. n. 42/2004, il cui testo è stato dianzi riportato.
E, in ogni caso, come rilevato, il citato art. 7 del Codice prevede che l’attuazione dei principi contenuti nel Codice stesso trovino attuazione attraverso l’esercizio, da parte delle regioni della “propria potestà legislativa”; ciò che, nella specie, non ha, comunque, avuto luogo, atteso il carattere meramente provvedimentale dell’atto che, nell’ottica regionale, avrebbe costituito attuazione della norma, asseritamente di principio, di cui all’art. 137 cit..
A questo riguardo può anche osservarsi, incidentalmente, che la struttura delle Commissioni prevista dall’originario testo del Codice Urbani differiva sostanzialmente dalla struttura prevista per le Commissioni stesse dal citato art. 33 della l.r. n. 45 del 1989, tanto che la Regione ha avvertito l’esigenza di modificare la propria disciplina normativa del 1989 (già oggetto, a sua volta, di modifica con l.r. n. 1 2 agosto 1998, n. 28) per adeguarsi al testo medesimo; e ciò ha fatto con disegno di legge n. 161 presentato il 2 agosto 2005 dalla Giunta.
Appare, quindi, per certi versi, singolare che la medesima Regione appellante abbia inteso, con semplice delibera di Giunta (proponente, in precedenza, detto schema legislativo), abdicare alle proprie potestà normative primarie e secondarie nella materia, di cui si tratta (contraddicendo anche il proprio precedente operato propositivo di un’apposita novella normativa), ritenendo che una norma statale di semplice organizzazione degli uffici, non costituente norma di riforma economico-sociale e neppure pienamente definita per ciò che attiene agli ambiti di operatività e alle modalità di costituzione degli stessi (avendo rimesso alle Regioni le necessarie scelte opzionali al riguardo), potesse prevalere sugli assetti normativi primari che la stessa Regione (in aderenza, in tal caso, ai principi autonomistici che ne ispirano l’azione) aveva inteso darsi, a suo tempo, avvalendosi delle proprie prerogative in materia, fino a procedere alla nomina dell’organo sulla base della sola norma statale e senza neppure rimettere alle necessarie scelte politiche dell’organo consiliare l’esercizio delle molteplici opzioni che, come cennato, la norma statale stessa rimetteva direttamente alla Regione; e ciò pur in presenza (art. 8 del d.lgs. n. 42/2004) di una norma dello stesso Codice Urbani secondo cui “nelle materie disciplinate dal presente codice restano ferme le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione”.
Né si dica che l’esercizio di dette opzioni era solo facoltativo e che la norma statale avrebbe recato una dettagliata disciplina della Commissione regionale, tanto esauriente da potere immediatamente essere applicata anche con semplice atto amministrativo; la determinazione di istituire un’unica Commissione e di non utilizzare il meccanismo delle terne di cui al comma 2 dello stesso art. 137 implica, infatti, già di per sè, una scelta politica di carattere generale che spettava al legislatore regionale assumere, trattandosi di determinazione afferente alla organizzazione degli uffici.
Si noti ancora, al riguardo, che la determinazione della struttura delle Commissioni di cui si tratta compete, evidentemente, nella Regione Sardegna, alla disciplina normativa di carattere primario, le analoghe Commissioni provinciali essendo state, a suo tempo, disciplinate con la ripetuta legge regionale del 1989; sicché, non costituendo, la disciplina statale, in quanto indefinita nelle sue possibili opzioni alternative, norma autoapplicativa, non poteva la Regione darle diretta e immediata applicazione in via amministrativa, ma solo adeguare, al riguardo, i propri previgenti assetti normativi e, quindi, modificare con apposita legge ciò che, in precedenza, con legge era stato regolato e con disciplina che, afferendo alla istituzione di organi e uffici amministrativi, logicamente era stata promanata dall’organo legislativo regionale nell’esercizio delle proprie prerogative di produzione normativa primaria (ferma restando, naturalmente, la potestà regionale di delegificare la materia nei termini e limiti definiti, peraltro, in tal caso, da apposita norma primaria).
E di ciò, del resto, la stessa Regione Sardegna si era correttamente avveduta in un primo tempo, essendo stato sottoposto, come detto, al vaglio consiliare il citato, apposito schema legislativo di attuazione dell’originario testo dell’art. 137; ma, a maggior ragione, avrebbe dovuto farsene carico con l’entrata in vigore delle modifiche a quella stessa norma introdotte dal d.lgs. n. 157/2006; ciò che, invero, sarebbe stato pienamente in linea, da un lato, con il normale riparto di competenze Stato/Regione autonoma e, dall’altro, con l’esigenza che il competente organo consiliare si determinasse puntualmente nello scegliere tra le molteplici opzioni offerte, come si ripete, dalla novellata norma statale (nel senso, ad esempio, di optare per una o più Commissioni in ambito regionale, ovvero di avvalersi di quanto previsto in merito alle modalità di individuazione degli esperti, con l’utilizzazione o meno del meccanismo delle terne designate da università, fondazioni o associazioni precisate nella norma stessa o, infine, di rimettere ad altro e/o altri organi l’esercizio delle opzioni medesime); e le scelte ora dette non rivestono, invero, carattere meramente facoltativo, bensì alternativo, il legislatore statale avendo rimesso alla Regione ogni doverosa, preventiva determinazione in merito al numero delle Commissioni da nominare e, correlativamente, all’estensione territoriale dei rispettivi bacini operativi, nonché alle modalità di individuazione dei componenti e ciò, si ripete, in conformità con i principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost. in tema di organizzazione degli uffici e di determinazione, tra l’altro, delle rispettive sfere di competenza.
Viceversa, la Giunta, senza esservi affatto astretta, ha ritenuto di derogare alla disciplina primaria regionale di settore, di ritenere prevalente, su questa, la sopravvenuta norma statale (per i motivi anzidetti, neppure costituente norma di riforma economico-sociale e, per espressa sua previsione, facente salva la piena operatività dei vigenti assetti normativi fino al momento dell’adeguamento delle norme regionali alla novella normativa del 2006, ferme restando le potestà attribuite alle Regioni a statuto speciale, come la Sardegna, e relative norme di attuazione) e di procedere alla nomina dei componenti del nuovo organo sulla base di una propria opzione ermeneutica volta a privilegiare la costituzione di una singola Commissione regionale, previa designazione degli esperti operata senza tenere alcun conto della predetta, ulteriore opzione offerta, con il sistema delle “terne”, dallo stesso legislatore nazionale ed in assenza della previa definizione, a livello regolamentare, di alcun meccanismo selettivo degli esperti stessi (tanto che questi sono stati individuati sulla base di semplici curricula, senza preventiva, specifica precisazione dei requisiti richiesti – al di là della generica indicazione offerta, al riguardo, dalla norma statale – e, in un caso, sulla base, si noti pure, di un curriculum recante una data successiva rispetto a quella di nomina della Commissione e del relativo commissario, ciò che appare ulteriore indice della scarsa trasparenza dell’azione amministrativa).
Vero che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 63 del 26 marzo 2008, il legislatore nazionale prevede, ora, che “le regioni istituiscono apposite commissioni, con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico .....”, senza più riferimento specifico alla possibilità di prevedere la costituzione di una o più commissioni regionali; ma, oltre a trattarsi di jus superveniens, come tale non rilevante, ratione temporis, nella presente controversia, vi è anche da osservare che il riferimento è pur sempre fatto, al plurale, alla istituzione di “apposite commissioni”.
A ciò si aggiunga, ad ogni buon conto e a tutto concedere, che, se anche, in via di astratta ipotesi, fosse stato possibile prescindere, (e non lo era) nella nomina della Commissione, della previa emanazione di apposita disciplina normativa regionale, non di meno si poneva, comunque, il problema della designazione dei componenti “laici” della Commissione; in base all’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989 questa spettava, infatti, al Consiglio regionale; con la conseguenza che non è dato, comunque, comprendere sulla base di quale disposizione normativa la Giunta si sia direttamente attribuito il potere di designazione dei membri stessi, sottraendolo al Consiglio senza alcuna indicazione di rilievo normativo al riguardo da parte di quest’ultimo; è vero che, ai sensi dell’art. 8 della l.r. n. 31 del 1998, alla Giunta, al Presidente e agli Assessori competono “le nomine, designazioni e atti analoghi a essi attribuiti da specifiche disposizioni”, ma la designazione dei predetti membri era rimessa, come si ripete, al Consiglio e nessuna norma ne ha successivamente rimesso la competenza alla Giunta.
Al più, dette designazioni avrebbero potuto, allora, logicamente configurarsi - nell’ottica di cui al citato art. 8 della l.r. n. 31 del 1998, che si è conformato, in effetti, ai dettami di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 80 del 31 marzo 1998 - alla stregua di meri atti di gestione; ma, in tale ottica, le stesse avrebbero dovuto far capo al competente dirigente e non certo alla Giunta.
Appare, sempre al riguardo, anche singolare il fatto che la Giunta abbia ritenuto superato, a seguito dell’entrata in vigore della disciplina del 2006, modificativa dell’art. 137 del Codice, quanto previsto dall’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989 nella sola parte relativa alla composizione dell’organo e non, invece, in quella relativa alla rimessione alla Giunta stessa della nomina dei membri delle Commissioni provinciali; anche in tal caso non si vede, infatti, sulla base di quali criteri interpretativi certi, con una sorta di ritenuta ultrattività claudicante e a macchia di leopardo, si sia considerata rimasta ferma, di detto art. 33, solo la parte relativa alla competenza giuntale nella costituzione dell’organo; a tanto ostando, invero, da un lato, la considerazione del fatto che la competenza della Giunta di cui al ripetuto art. 33 afferiva alle Commissioni provinciali dalla stessa legge n. 45 del 1989 disciplinate, mentre, nella specie, si è trattato della nomina di una Commissione non provinciale, bensì regionale, introdotta, per la prima volta, dall’art. 7 del d.lgs. n. 157 del 2006, modificativo del ripetuto art. 137 del Codice (sicché la Giunta ha finito per appropriarsi, al di fuori di ogni supporto normativo regionale, della potestà di nomina di un organo nuovo e diverso da quello in precedenza disciplinato dalla stessa normativa regionale di settore) e, dall’altro, ciò ha fatto senza neppure tenere conto dei citati assetti normativi di cui al d.lgs. n. 80 del 1998 ed alla legge regionale n. 31 del 1998.
Deduce, ancora, l’appellante che, a mente dello stesso art. 33 della l.r. n. 45/1989, le Commissioni sulla base di esso nominate sarebbero automaticamente cessate dalle loro funzioni novanta giorni dopo l’insediamento del Consiglio regionale di nuova elezione; con la conseguenza che, se non si fosse proceduto alla nomina dell’organo, non sarebbe stato possibile esercitarne la funzione.
Anche tale notazione critica è priva di consistenza dal momento che, come si è visto, la norma statale non inibiva affatto l’ultrattività del precedente assetto normativo fino a che le Regioni interessate non si fossero adeguate nel rispetto delle regole di produzione normativa proprie dei rispettivi ordinamenti; sicché la Regione appellante (nelle more dell’approvazione della disciplina contenuta nello schema normativo di cui si è detto) ben avrebbe potuto procedere alla nomina delle nuove Commissioni sulla base della disciplina corrente al momento dell’entrata in vigore della normativa di fonte statale (quella del 2004 prima e quella del 2006 poi); se ciò non ha fatto nei novanta giorni dall’insediamento del Consiglio regionale, imputet sibi, la negligenza nel provvedere non potendo giustificare non solo la paralisi dell’organo, ma, a maggior ragione, neppure l’adozione di provvedimenti extra ordinem, difformi dagli assetti normativi primari di settore che lo stesso legislatore statale ha inteso, in effetti, salvaguardare fino al momento dell’adeguamento normativo da parte della Regione (e senza neppure l’indicazione, a tal fine, di eventuali poteri sostitutivi statali in caso di mancato sollecito adeguamento regionale).
Sicché, nel momento in cui la stessa Regione, mossa dall’urgenza, ha avvertito l’esigenza di nominare l’organo consultivo, ben avrebbe potuto procedere avvalendosi, appunto, delle norme vigenti al momento di entrata in vigore della novella normativa statale, ovvero accelerare tenuto conto della novella di cui al d.lgs. n. 157 del 2006, l’approvazione, con le debite modifiche, del citato disegno di legge; il semplice venire a scadenza delle Commissioni non determina, infatti, certamente il venir meno dell’organo previsto dalla legge, ma solo l’esigenza della sua ricostituzione.
Né possono in qualche misura rilevare i richiami fatti alla disciplina regolante la materia in altre Regioni, dal momento che si tratta di assetti normativi specifici di tali enti territoriali, che in nessuna misura possono ridondare sull’interpretazione di norme proprie della Regione Sardegna.
Per i suesposti motivi è da ritenere che correttamente, con la sentenza appellata, il TAR abbia annullato l’atto di nomina della Commissione e, in via derivata, le determinazioni da essa assunte, nonché il provvedimento regionale (delibera di Giunta 22 agosto 2007, n. 31/12, recante dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico delle aree in questione) principalmente oggetto di gravame, in quanto fondato su di un parere necessario reso da organo illegittimamente costituito.
Al travolgimento dell’atto costitutivo della Commissione si ricollega, logicamente, e tra gli altri, anche il travolgimento della disciplina regolamentare (adottata il 6 febbraio 2007) che la Commissione si è autonomamente data non solo in assenza di ogni disciplina primaria o secondaria al riguardo, ma anche in sostanziale difformità dal disposto di cui all’art. 137 del Codice, tale norma prevedendo una competenza funzionale degli organi amministrativi ivi contemplati, laddove la detta disciplina regolamentare ha consentito, in effetti (in assenza di ogni supporto normativo al riguardo), di derogare a tale principio, prevedendo la nomina di supplenti che, nella specie, hanno consentito ad un delegato del Soprintendente per i Beni architettonici e per il Paesaggio di partecipare, tra le altre, alla seduta conclusiva dell’organo, nel corso della quale il parere di cui si tratta è stato definitivamente deliberato.
Si aggiunga, inoltre, che l’appello non reca specifiche censure involgenti l’annullamento, pure operato dal TAR in correlazione all’annullamento della costituzione della Commissione regionale, delle impugnate delibere di Giunta n. 1/2 del 9 gennaio 2007 (recante “progetto di valorizzazione dell’area archeologica in località Tuvixeddu- Cagliari. Realizzazione “Porta del Parco”) e n. 5/23 del 7 febbraio 2007 (recante “Realizzazione parco archeologico di Karalis e progetto di valorizzazione del colle di Tuvixeddu nella città di Cagliari – articoli 96, 98 e 100 del D. Lgs. 22.1.2004 n. 42”); in relazione all’annullamento di tali determinazioni deve, quindi, ritenersi formato il giudicato interno.
Se ed in quanto, poi, la Regione intenda, nel prosieguo, riavviare una procedura volta all’estensione del vincolo, ciò potrà fare solo tenendo conto di tutto quanto precede, nonché delle notazioni e indicazioni, di carattere essenzialmente formale, che seguono (volte, all’occorrenza, ad indirizzare il futuro operato dell’amministrazione) e rinnovare, per l’effetto, integralmente e ab origine la necessaria attività istruttoria avvalendosi degli organi tutti all’uopo competenti; ciò che esime il Collegio dal verificare se l’attività istruttoria e valutativa ad oggi posta in essere dalla Regione stessa – in quanto interamente travolta dal giudicato amministrativo - sia stata o meno connotata, in se e per se considerata, sotto il profilo contenutistico, da astratti indici di legittimità; non senza considerare, peraltro, al riguardo che, con l’appello, sono rimaste prive di puntuale critica sia le notazioni fornite dal TAR in ordine alla mancata presa in concreta considerazione, da parte della Commissione, dei “lavori imponenti” eseguiti dal Comune e di quelli, pure rilevanti, eseguiti dai privati in base ad appositi titoli edificatori, sia quelle inerenti alla mancata considerazione del fatto che emergenze archeologiche nuove, specificamente inerenti le aree da assoggettare a vincolo, non risultavano appurate, con la conseguente inadeguata istruttoria al riguardo (non senza considerare, comunque, che la Sovrintendenza archeologica, chiamata a monitorare costantemente le aree oggetto delle opere cantierate, è pur sempre in grado di paralizzare le stesse in presenza di appurate, eventuali nuove emergenze archeologiche).
5) – A questo punto giova aggiungere, per completezza, tenuto conto degli ora cennati profili formali relativi all’attività posta in essere dall’amministrazione regionale, che l’illegittimità delle impugnate determinazioni non solo è riconducibile a quanto sin qui indicato, ma anche al fatto che, come correttamente rilevato dal TAR (e al contrario di quanto ritenuto dall’appellante), nel caso in esame la “consultazione” del Comune ha avuto, in effetti, un rilievo solo formale, dal momento che la Commissione - giusta quanto emerge dai suoi lavori e, in particolare, dai verbali delle sedute del 29 gennaio 2007 e del 21 febbraio 2007, nel corso delle quali il Comune è stato sentito – non ha tenuto in debito conto (tanto da non fornire, a ben vedere, alcuna motivazione al riguardo) quanto da quella stessa Amministrazione prospettato circa le problematiche legate allo stravolgimento della locale programmazione urbanistica e, in particolare, al marcato ridimensionamento dell’accordo di programma quadro sottoscritto nel 2000, ai rilevantissimi conseguenti oneri per il Comune stesso (correlati anche all’onerosa restituzione ai privati delle aree), agli affidamenti che, negli anni, sono venuti consolidandosi al riguardo (anche a cagione della parziale esecuzione di una mole rilevante di lavori), occasionati dalle scelte (di cui al predetto accordo di programma) concordate non solo tra privati e Comune, ma anche e soprattutto con la stessa Regione e la locale Soprintendenza ai beni archeologici.
Per meglio dire, tali problematiche, sollevate da talun commissario (vedi, in particolare, la nota in data 12 febbraio 2007, n. 1048, del Soprintendente per i Beni archeologici di Cagliari e Oristano) ed evidenziate dal Comune nel corso della sua consultazione, sono state, di fatto, accantonate dal predetto organo consultivo, avendo ritenuto, in effetti, la Commissione di dover incentrare i propri compiti sui soli aspetti paesaggistico-ambientali, rimettendo ai competenti uffici regionali ogni apprezzamento in merito alla compatibilità del vincolo con gli aspetti legati alla locale disciplina urbanistica e al predetto accordo di programma (tanto risulta, tra l’altro, dalla nota 20 febbraio 2007, prot. L/566 inviata dal Direttore generale dell’Area legale della Regione alla Presidenza della Giunta).
E, quanto alla Giunta regionale, essa non ha operato alcuna preventiva e fattiva consultazione con gli organi comunali, essendosi limitata a prendere in considerazione – nell’esercizio dei compiti inerenti all’esame delle osservazioni proposte ai sensi dell’art. 139, comma 5, del Codice – i rilievi critici formulati dal Comune stesso, ma al di fuori di ogni modalità di reale, preventiva consultazione e connesso preliminare scambio di informazioni tra uffici regionali e comunali e ricerca di un possibile accordo; consultazione che, in definitiva, è sostanzialmente del tutto mancata e ciò in aperto contrasto con quei principi di leale collaborazione e cooperazione che, specie nell’attuale assetto costituzionale, conseguente alla riforma del Titolo V (art. 114 e sgg.) della Costituzione, debbono conformare i rapporti tra gli “enti autonomi” dai quali è “costituita” la Repubblica.
Principi collaborativi formalizzati dall’art. 132, comma 1, del Codice (a mente del quale: “le amministrazioni pubbliche cooperano per la definizione di indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione, recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio e di gestione dei relativi interventi”) e dal successivo art. 138 (secondo cui la Commissione, nell’espletamento della propria attività preparatoria, “procede alla consultazione dei comuni interessati”).
E, nel rispetto di tali principi collaborativi, la Commissione (o, comunque, gli organi regionali competenti) non avrebbe neppure potuto trascurare il fatto che, ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 42 del 2004, come modificato dal d.lgs. n. 156 del 2006 (“valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica”) “lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali assicurano la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi indicati all'articolo 101, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal presente codice”; e che detto art. 101 prevede, a sua volta, che “Ai fini del presente codice sono istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali”; e che tale valorizzazione avviene attraverso la stipula di appositi accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica.
Ebbene, è vero che l’accordo di programma del 2000 è stato stipulato in un momento antecedente all’introduzione di tale tipologia di accordi; non di meno, esso costituiva un progetto – inquadrabile tra gli accordi di cui all’art. 11 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 e al cui perfezionamento, come si ripete, aveva partecipato la stessa Regione ed al quale le Soprintendenze statali, specie quella archeologica, avevano fattivamente contribuito - di riqualificazione urbana e ambientale dei Colli di S. Avendrace, finalizzata anche alla realizzazione di un parco archeologico e di un apposito museo, anche questo destinato ad essere paralizzato dai contestati interventi regionali; sicché la Regione non poteva ignorare tale rilevante circostanza e venire a paralizzare, di fatto, anche tale significativo intervento culturale - collocantesi, comunque, nella stessa ottica di quei progetti culturali, particolarmente significativi anche nell’interesse del Comune e della locale collettività, che il legislatore ha inteso, con le norme anzidette, debitamente valorizzare – senza neppure tentare la ricerca delle soluzioni più adeguate, consultando le altre parti coinvolte dall’accordo stesso e tenendo debito conto, al riguardo, delle rilevanti opere già realizzate dal Comune, ovvero dai privati (e in conformità, per questi ultimi, con titoli concessori mai rimossi).
La consultazione prevista dal Codice non può essere rivista, invero, alla stregua di un mero onere di carattere formale ché, a soddisfare un’esigenza siffatta, varrebbe, comunque, la possibilità, accordata (sulla base di risalenti principi normativi) dall’art. 139 del Codice stesso, di proporre osservazioni al piano paesaggistico adottato, con il correlato onere per l’autorità adottante di fornire adeguate risposte al riguardo.
Con l’onere di consultazione, invero, il legislatore nazionale ha inteso introdurre un più ampio concetto di reciproco rapporto collaborativo tra le amministrazioni interessate, con la conseguenza che i mutati orientamenti in materia paesaggistica maturati dall’organo competente all’imposizione del vincolo non possono più essere calati autoritativamente sulle realtà locali, incidendone gli assetti urbanistici in corso, se non previa consultazione delle amministrazioni locali stesse e, quindi, quanto meno con il tentativo di ricerca di idonei accordi con tali primari interlocutori e tenendo debito conto, quindi, degli interessi pubblicistici potenzialmente incisi dalla pianificazione in itinere.
Consegue, da quanto precede, che ai molteplici rilievi sollevati dal Comune nelle due riunioni alle quali è stato invitato, non solo avrebbe dovuto essere data risposta immediata attraverso tentativi di ricerca di punti di incontro, ma la Regione – e per essa, quanto meno, la ripetuta Commissione regionale – avrebbe dovuto anche tentare di individuare eventuali punti di possibile convergenza; viceversa, la Commissione stessa, come si ripete, si è espressamente sottratta a un onere siffatto, mentre la Giunta si è limitata solo a fornire risposte alle osservazioni del Comune, ma al di fuori degli assetti logico-procedimentali e collaborativi (di carattere preventivo e non successivo rispetto all’adottando vincolo) che il Codice ha inteso privilegiare.
6) – Ulteriori motivi di gravame si appuntano avverso il capo della sentenza impugnata con il quale il TAR ha ritenuto fondate le censure – pure di carattere formale - di sviamento di potere sollevate dalla parte ricorrente in primo grado.
Al riguardo, sarebbe erronea, ad avviso dell’appellante, la sentenza appellata nella parte in cui ha ritenuto che la procedura di cui si tratta fosse affetta da sviamento di potere; sviamento che il TAR ha rilevato nell’attività sia della Commissione che dell’amministrazione regionale; l’esistenza di tale vizio si desumerebbe, ad avviso dei primi giudici, oltre che da una serie di comportamenti adottati nel corso del procedimento, anche dal fatto che nella delibera n. 31/12 del 22 agosto 2007 – impositiva del vincolo - è stato fatto riferimento alla volontà della Regione di avviare il progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree in questione, secondo le indicazioni contenute nello studio del prof. Gilles Clement; sennonché, né la Commissione, né la Regione avrebbero mai utilizzato i propri poteri per fini diversi da quelli per i quali sono stati loro conferiti (né vi sarebbe indizio alcuno confortante l’ipotesi di esistenza dello sviamento stesso).
Anzitutto, osserva, ancora, l’appellante, il riferimento al predetto studio non avrebbe affatto il valore indicato dal TAR, in quanto si tratterebbe di un semplice studio a carattere orientativo che potrà, solo se del caso, essere utilizzato; e tale studio, inoltre, sarebbe stato successivo alla proposta della Commissione del 21 febbraio 2007, essendo stato presentato solamente a giugno 2007 e, soprattutto, non alla Regione Sardegna, ma in occasione di una manifestazione culturale.
Inoltre, viene ancora dedotto, già il P.P.R. approvato il 5 settembre 2006 con delibera di G.R. n. 36/7 avrebbe individuato l’area in questione come sistema storico-culturale rappresentante la più significativa relazione esistente tra viabilità storica, archeologica ed altre componenti di paesaggio aventi valenza storico-culturale; e, tutto ciò considerato, non potrebbe affermarsi, come sostiene, invece, il TAR, che la volontà di apporre il vincolo sarebbe funzionale alla realizzazione di un progetto che non c’era al momento della presentazione della proposta di vincolo; e, dall’altra parte, quanto affermato dal TAR sarebbe chiaramente smentito dal fatto che la Regione avrebbe avviato recentemente il procedimento che dovrebbe consentire di giungere anche alla nuova definizione dell’assetto dell’area mediante una progettazione che attui le azioni di valorizzazione e tutela volute dal vincolo (determinazione 29 ottobre 2007, n. 1255, non facente riferimento al progetto Clement).
Nel caso di specie, si conclude, tutti gli indizi che il TAR ha indicato come utili al fine di provare lo sviamento di potere evidenzierebbero, in realtà, solo la volontà regionale di perseguire il fine legittimo e previsto dalla legge di tutelare l’area in questione nel suo complesso, prima della sua irrimediabile compromissione.
Dette doglianze appaiono pure prive di consistenza.
Non rileva, invero, il fatto che, almeno stando alla lettura degli atti, la Commissione, nel corso dei propri lavori, non abbia tenuto conto di alcun progetto riconducibile al predetto studioso; ciò che rileva è, invece, che la Giunta, di sua iniziativa, nel fare proprio il parere espresso dalla Commissione regionale, abbia finalizzato puntualmente la propria azione alla realizzazione del progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree di cui si tratta “secondo le indicazioni contenute nello studio del prof. Gilles Clement”; e, se è stato richiamato, formalmente, nella stessa deliberazione di imposizione del vincolo, detto studio, è evidente che lo stesso doveva essere ben noto alla Regione nei suoi specifici contenuti e, logicamente, doveva averne avuto sostanziale approvazione, non essendo credibile che un progetto di riqualificazione areale di così vasta portata e di ampio contenuto paesaggistico, storico-archeologico e culturale, oltre che urbanistico, possa essere stato richiamato nell’impugnata delibera senza che di esso la stessa Regione fosse pienamente consapevole e non ne avesse condiviso i peculiari contenuti; sennonché, non è dato comprendere – né alcuna indicazione in tal senso è fornita negli atti oggetto di giudizio – in che modo, in assenza di alcuna formale iniziativa al riguardo ed in difetto di ogni indicazione atta a consentire un idoneo scrutinio di legittimità della scelta così operata, possa essere stato individuato detto progetto e possa esserne stata prescritta l’osservanza; e, quanto al riferimento fatto dall’appellante all’approvato P.P.R., si tratta di riferimento privo di rilevanza non comprendendosi la correlazione esistente tra detto P.P.R. ed il progetto anzidetto, richiamato dall’impugnata delibera di Giunta.
È, quindi, da ritenersi che correttamente i primi giudici abbiano ritenuto la circostanza ora detta (specifico riferimento al progetto del prof. Clement, contenente, tra l’altro, specifiche indicazioni operative che, se attuate, avrebbero inciso in termini sostanziali sul ripetuto accordo quadro) sintomo di grave eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, dal momento che l’imposizione del vincolo, con l’abbandono dei precedenti assetti progettuali concordati, appare preordinata, espressamente, alla realizzazione delle finalità al vincolo stesso sottese anche attraverso la conformazione a indicazioni contenute in uno specifico progetto di non definita origine; con la conseguenza che l’azione amministrativa, in quanto finalizzata al conseguimento di una finalità non conforme a legge (realizzazione, in sede di attuazione del vincolo, di un progetto di non definita origine e di non precisate fonti approvative), deve ritenersi affetta dal cennato vizio sintomatico; mentre non rileva che, nel prosieguo dell’azione amministrativa stessa, la conformazione al detto progetto non avrebbe avuto concreto seguito, dal momento che si tratta di circostanze maturate successivamente e irrilevanti ai fini dell’effettuazione dello scrutinio di legittimità degli atti impugnati.
A tutto quanto precede si aggiunga, ancora, che il TAR ha segnalato (pagg. 55 e sgg.) una serie di altri indizi pure manifestamente sintomatici del dedotto vizio di eccesso di potere in relazione ai quali fa difetto, nell’appello, ogni puntuale contestazione; con la conseguente formazione, anche a questo riguardo, del giudicato amministrativo.
7) – Per i motivi che precedono l’appello in epigrafe deve essere respinto.
La Regione appellante va, poi, condannata al pagamento delle spese del grado a favore della società Nuove Iniziative Compresa s.r.l., mentre le stesse possono essere compensate nei confronti delle altre parti, liquidandole nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge l’appello in epigrafe.
Condanna la Regione al pagamento delle spese del grado a favore della società Nuove Iniziative Compresa s.r.l., liquidandole in complessivi € 12.000,00 (dodicimila/00); compensa le spese con riguardo alle altre parti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2008 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
GIUSEPPE BARBAGALLO Presidente
PAOLO BUONVINO Consigliere Est.

ROBERTO CHIEPPA Consigliere
FRANCESCO BELLOMO Consigliere
CLAUDIO CONTESSA Consigliere

Presidente
GIUSEPPE BARBAGALLO
Consigliere Segretario
PAOLO BUONVINO VITTORIO ZOFFOLI



DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 4/08/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
p.Il Direttore della Sezione
GLAUCO SIMONINI