28 agosto 2008

Tuvixeddu: Accanimento terapeutico o resa dei conti?



Ci risiamo: la guerra di Tuvixeddu riprende.
Il Governatore Soru ha deciso che, comunque, metterà i vincoli sul colle ed il suo braccio destro (?), l'Assessore M.A. Mongiu si è prodotta in una splendida performance mediatico-aritmetica passando dalle 400 tombe mancanti (ci sono ma forse nessuno glielo ha comunicato) ai 1000 ritrovamenti (però nell'arco degli ultimi dieci anni). Non c'è che dire: una notevole mossa mediatica (si sa, più è alto il valore numerico assoluto, più è sensazionale l'affermazione).
Ma, al di là delle dichiarazioni si intravedono delle crepe sempre più vistose in questa ripresa della guerra.
Innanzitutto iniziano a sorgere dei dubbi sul perchè tanto accanimento per vincolare il colle mentre l'area di Santa Gilla è stata data, per così dire, in pasto ai costruttori nonostante la sua valenza storico-archeologica ed il fatto che queste perplessità siano state sollevate da un'associazione ambientalista (folgorata sulla strada di Damasco?) la dice lunga sul fatto che il sano germe del dubbio stia iniziando a dare i suoi frutti.
Inoltre non risulta ancora ben chiaro cosa debba essere protetto nell'area in sui dovrà edificare Coimpresa: si tratta di un'area assolutamente sterile, il cui stato attuale è stato abbondantemente documentato. Soltanto perchè è a ridosso dell'area archeologica?
Mi sembra proprio che tutelare il nulla sia una mossa alquanto stravagante, a meno che sotto questa manovra non si celi qualcos'altro.
L'ipotesi non è tanto fantascientifica come potrebbe sembrare se andiamo ad analizzare altre città che sono piene di siti archeologici come Roma e Milano.
In queste città (come tutte, d'altronde) l'espansione edilizia è d'obbligo ed ultimamente le amministrazioni, trovandosi alle prese con delle scoperte di nuovi siti archeologici hanno cercato, come si suol dire, di salvare capra e cavoli proteggendo le parti che avevano una reale valenza storico-archeologica e rendendo possibile l'edificazione nelle immediate vicinanze.
Prendendo anche questi esempi viene da pensare che, dal punto di vista della tutela esistono due pesi e due misure, infatti non penso che gli amministratori di città quali Roma o Milano siano in gara per vincere il premio Attila 2008.
Sembrerebbe quindi che su Tuvixeddu, la RAS stia operando (ad essere buoni) una sorta di "accanimento terapeutico" su parti del colle archeologicamente irrilevanti, nel senso che si vogliono proteggere zone in cui non c'è nulla e, dato che proteggere un'area ha un suo costo, questo è giustificato se si deve proteggere qualcosa che esiste, diversamente è solo uno spreco di denaro bello e buono. Ma trattandosi di soldi nostri la cosa sembra irrilevante.
A meno che non si voglia dare ancora retta (dopo tutte le smentite ricevute) alle favolette che raccontò la mitica commissione del Colle (abbondantemente bastonata da due sentenze) che ha basato l'apposizione dei vincoli su cartografie e stato dei luoghi residenti unicamente sui libri di storia ed assolutamente scollate dalla realtà (leggere attentamente le sentenze).
Certo che, osservando dal di fuori questa vicenda oggi, visto l'accanimento, si ha l'impressione più di una resa dei conti (per motivi ignoti o quasi) che di una tutela doverosa di un luogo, tutela che comunque andava bene come era stata congegnata.
Il fatto che somigli ad una resa dei conti balza agli occhi venendo a conoscenza che la "colpa" del pasticcio delle tombe (scomparse, non tutelate, fate un po' voi) è responsabilità dell'ex Soprintendente Dott. Santoni che, guarda caso, votò contro l'apposizione dei vincoli nella commissione istituita dalla RAS e cassata, sia dal TAR che dal Consiglio di Stato. Coincidenza?
Però adesso si muovono anche i partiti politici, per l'esattezza il PD, a sostenere i nuovi futuri vincoli sul colle voluti dal Governatore Soru.
Non è che il PD sta ricambiando il favore di aver licenziato il Direttore dell'Unità Padellaro ed averlo sostituito con un nome gradito al partito?
Il proprietario de l'Unità è il Dott. Renato Soru (i soldi sono i suoi ergo il giornale pure). Coincidenza?
Un amico investigatore sostiene che due coincidenze diventano un fatto.
Sarà vero?

26 agosto 2008

Nuraminis: Le strane storie delle cave/2 (di Giorgio Ghiglieri)



La parola alle cifre.
La cava di monte "Su Crucuri" (questo è il termine cartografico esatto della collina) non è l'unica cava esistente nel territorio di Nuraminis: ve ne sono altre tre attive ed una dismessa.
Innanzitutto il nome esatto della cava è cava "Bia Segariu" ed è catalogata come preesistente al 1989.
Questa cava, il cui identificativo sul Catasto Regionale dei Giacimenti di Cava della Regione Sardegna è 261_C (la lettera C sta a significare l'utilizzo della cava per scopi civili).
L'autorizzazione allo sfruttamento è stata data, originariamente, alla ditta COSMOTER di Foddi Vincenzo e la superficie di sfruttamento è stata determinata in 26.500 (ventiseimilacinquecento) metri quadri ed il suo nucleo originario insiste nell'immediata vicinanza del monte "Su Crucuri" (come si evince dalla mappa planimetrica della Regione Sardegna). Successivamente i diritti di scavo sono stati ceduti alla ditta F.lli Locci di Iglesias che ha ampliato l'area di scavo sulle pendici del monte "Su Crucuri". Questa cava è stata bloccata il 13 Agosto per accertamenti burocratici da parte dell'Assessorato all'Industria della Regione Sardegna (con automatico ricorso al TAR, of course).
Da questa cava viene prodotto materiale per riempimento stradale; i dati di estrazione rilevano che nell'anno 2004 ha avuto una produzione pari a 23.067 tonnellate di materiale.
La seconda cava è quella denominata "Ferranti e Su Nuraxi". Questa cava, la cui autorizzazione di cava è rilasciata a Podda Stefano, è situata a ridosso (per non dire circonda) i resti del nuraghe denominato, appunto "Su Nuraxi". Estrae materiali inerti per conglomerati ed è identificata col codice 374_C; ha una superficie di cava prevista di 43.980 (quarantatremilanovecentottanta) metri quadri, estrae conglomerati e, sempre con i dati rilevati nel 2004 ha estratto 21.539 tonnellate di materiale.
La terza cava è quella denominata "Palas de Gruttas" dove vengono estratti materiali inerti da depositi alluvionali, il suo codice di riconoscimento è 405_C ed il titolare di scavo è Porru Pietro. Ha una superficie prevista di cava pari a 39.180 (trentanovemilacentottanta) metri quadri e nel 2004 ha estratto 23.067 tonnellate di materiale. Lo stesso tanto della cava di "Bia Segariu".
L'ultima cava attiva è quella di "Bruncu Orri" identificata come 383_I. La lettera I indica l'utilizzo della cava per l'estrazione di materiali industriali; infatti i diritti di estrazione sono della Italcementi S.p.A.. E', alla data del 31 Marzo 2004, l'unica in possesso di un'autorizzazione amministrativa da parte della Regione Sardegna (per 10 anni, dal 7 Novembre 2005 al 6 Novembre 2015). Estrae argillite ed occupa una superficie di 54.800 (cinquantaquattromilaottocento) metri quadrati e nel 2004 ha estratto 5.156 tonnellate di materiale.
L'unica cava dismessa denominata "Monte Leonaxius" vanta una superficie di 3.450 (tremilaquattrocentocinquanta) metri quadrati e risulta come area "parzialmente" rinaturalizzata (natura che riconquista i suoi spazi o ripiantumazione?).
E' quasi superfluo fare cenno al fatto che delle quattro cave in attività non è stato rinaturalizzato (per il momento) nemmeno un metro quadrato.
Ora, se prendiamo una calcolatrice e facciamo un poco di somme, viene fuori che la superficie totale occupata dalle cave nel territorio di Nuraminis è pari a 192.750 (centonovantaduemilasettecentocinquanta) metri quadrati, ovvero più o meno la superficie di 28 campi di calcio di serie A.
Si tratta di un notevole sconvolgimento ambientale: uno stravolgimento orografico dell'ambiente bello e buono che, per quanto si possa parlare di rinaturalizzazione, ripiantumazione e quant'altro, non tornerà più come prima. E' anche vero che, a termine di contratti di concessione, al termine dei lavori, le ditte dovranno rinaturalizzare l'ambiente che hanno devastato e quindi 19,275 ettari di verde non sono proprio da buttare via, però c'è una cosa che mi lascia perplesso: quando finiranno i lavori?
Stando ai dati del 2007 rilasciati dalla Regione Sardegna si parla di periodi di sfruttamento di almeno 10 anni (20 per quella della Italcementi), quindi mi sorge il sospetto che i lavori di rinaturalizzazione li vedranno (forse) i miei nipoti mentre a noi toccherà continuare a sorbirci questo sconcio di natura disastrata.
Con contorno di polveri varie quando tira il maestrale.

Giorgio Ghiglieri

24 agosto 2008

Nuraminis: Le strane storie delle cave (di Giorgio Ghiglieri)



La cava di Monte Crucuris, sulla strada vicinale che collega Nuraminis a Villagreca è stata bloccata con un decreto sospensivo dell'Assessorato all'Industria della RAS.

Questo decreto sospensivo però non ha attinenza con eventuali scempi ambientali, riguarda un presunto vizio di forma insito nella documentazione presentata ma non vi è nessun accenno a cause di altro genere (ambiente). Trattasi di semplice vizio burocratico.

Ciò significa che, per quanto riguarda l'aspetto ambientalistico la cava ha tutto il diritto di esistere e continuare (sic).
Come è possibile questo?
Sono andato a studiarmi la legislazione attuale sulla coltivazione di cave (altro termine meno brutto non l'hanno evidentemente trovato...) e più o meno la situazione è questa:
1- Sulla coltivazione di cava la RAS ha la giurisdizione esclusiva.
2- Possono essere utilizzate le cave preesistenti al varo della legge Regionale anche se inserite nei PUC locali in zone di tutela.
Risulta ovvio che, nel caso in cui vengano rilevate in esse situazioni particolari (scoperta di siti archeologici o fossili), queste ricadono in un quadro di tutela che ne inibisce automaticamente l'utilizzo.
3- La concessione di sfruttamento di una cava è subordinato al ripristino dell'area mediante piantumazione e messa in sicurezza del sito. A tale scopo la RAS obbliga la ditta beneficiaria ad un deposito cauzionale (fidejussione) a garanzia del ripristino dei luoghi. In parole povere, nel caso in cui, per qualsiasi ragione la ditta non mantenesse fede a tale impegno, la RAS utilizzerebbe la somma depositata a titolo cauzionale per avviare il ripristino dei luoghi.
4- La concessione di cava è, ovviamente, subordinata alla presentazione di un progetto dettagliato di operatività e di ripristino che deve passare al vaglio di almeno tre assessorati prima di avere il nulla osta e viene trasmesso, per conoscenza a tutte le amministrazioni interessate. Compresa l'Amministrazione Comunale nella cui area è sita la cava (Leggere: Amministrazione Comunale di Nuraminis)
5- A giugno la RAS ha promulgato una legge che impone a tutti i titolari di concessione di scavo la presentazione di un certificato di impatto ambientale (entro il 16 Novembre 2008), senza il quale qualsiasi attività viene bloccata

Per quanto, dal punto di vista ambientale la cosa possa essere considerata paradossale, queste sono le leggi che regolano il funzionamento delle cave. Difatti risulta alquanto difficile da pensare che si possa ripristinare lo stato preesistente un'area che viene scavata (anche in modo pesante); è normale che, nella maggior parte dei casi sia impossibile ripristinare lo status quo ante ma verrà, come si suol dire, adattata l'area scavata.
Però queste leggi non sono, se andiamo a ben vedere, così assurde, vi sono dei contrappesi che ne limitano le possibilità di sconvolgimento ambientale totale (o, quantomeno cercano di metterci una pezza).
Il fatto stesso che sia obbligatorio il ripristino dei luoghi mediante piantumazione attenua (se così si può dire) l'impatto della modifica ambientale; ovviamente la piantumazione e messa in sicurezza dei luoghi segue delle direttive ben precise le cui linee guida sono dettate dal Corpo Forestale che si fa carico anche delle visite ispettive per verificare che vengano rispettare le regole.
Dato che, chi ha buona memoria ricorda, è capitato spesso che varie ditte, al momento in cui si è trattato di ripristinare i luoghi (quindi spendere) siano sparite nel nulla lasciando degli scempi che tutti noi possiamo ancora vedere in giro per la Sardegna, la RAS ha subordinato al rilascio della licenza, un deposito cauzionale (cospicuo) su cui rivalersi nel caso in cui le ditte non possano o non vogliano rispettare l'ultima parte del contratto.
La materia della coltivazione di cava è, come avrete potuto leggere, quantomeno controversa e cozza, comunque, con qualsiasi visione di tutela ambientale tesa a mantenere lo status quo geografico; questa controversia dà, comunque, spazio a diverse interpretazioni ed offre il fianco, oltre alle proteste genuine delle comunità in cui ricadono queste aree, anche a moti di protesta cavalcati ad arte per interessi che nulla hanno a che fare con la tutela degli interessi della comunità.
Infatti non dimentichiamo che, per il rispetto dell'ultima parte del contratto che autorizza l'usufrutto delle cave, ovvero il ripristino dei luoghi, è necessario realizzare delle opere che creano dei posti di lavoro, la stragrande maggioranza delle volte in loco, ovvero utilizzando maestranze locali (questo sia per ragioni economiche che per politiche che definirei "parzialmente risarcitorie").
Senza stare a nascondersi dietro un dito, tutti noi sappiamo che i posti di lavoro, stando alla crisi attuale, sono una fonte di clientelismo notevole ed avere la possibilità di poter "manovrare" eventuali assunzioni conferisce un immenso potere (politico) a chiunque possa assicurare (millantare?) un posto di lavoro in aree dove il lavoro manca.
Il solito gioco di potere che, spesso, a furia di inutili prove di forza, lascia sul terreno solo delle rovine che nessuno si prenderà mai la briga di ricostruire. Meno che mai i capipopolo delle (presunte) proteste popolari nate, il più delle volte da una mancanza di corretta informazione.
Difatti troppe volte al cittadino comune non viene dato il diritto di conoscere le cose nella loro interezza e si deve accontentare di brandelli di notizie (spesso aleatorie) e prestandosi, quindi troppo spesso, a manovre fatte sulla propria pelle.
Mi verrebbe da dire: come pedine.
Ma forse esagero.....


Nota: Tutta la parte riguardante leggi & regolamenti è volutamente semplificata in modo tale risulti più facilmente comprensibile lo schema legislativo.

Giorgio Ghiglieri

06 agosto 2008

Tuvixeddu: i danni collaterali

Anche l'ultimo grado di giudizio ha dato torto alla RAS.
Oltre questo esiste solo il Giudizio Divino che però, avendo sicuramente cose più importanti da fare, presumo non abbia intenzione di emettere sentenze in materia.
Quindi, a meno di altre estemporanee trovate il vecchio progetto su Tuvixeddu andrà avanti.
Finisce qui (spero) una battaglia di interessi politici (e altro) che, al di là dei costi risarcitori le cui ricadute peseranno sulle tasche di tutti noi (scordatevi che paghino in solido i responsabili) ha avuto anche pesanti ripercussioni dal punto di vista umano e professionale con un costo che nessuno potrà mai risarcire compiutamente.
Parlo di due persone che ho conosciuto all'inizio dell'affare Tuvixeddu e con cui sono sempre stato in contatto per ragioni professionali: sono gli Architetti Livio De Carlo ed Eliana Masoero, i progettisti di Tuvixeddu.
Nonostante abbiano realizzato un progetto per il colle assolutamente sostenibile e rispettoso della salvaguardia di quanto rimasto sul colle delle antiche vestigia archeologiche (basta andare a riguardarsi il progetto per capire di cosa parlo) sono stati additati da certa stampa e da certi personaggi dell'"intellighenzia" locale come i novelli attila del colle arrivando a metterne in dubbio persino le capacità professionali.
Basterebbe andare a rileggersi certe dichiarazioni fatte subito dopo la presentazione (si fa per dire) del progetto fatto in quattro e quattr'otto da Gilles Clement su Tuvixeddu per avere chiaro l'intento denigratorio.
Ciò che mi ha sempre dato il voltastomaco è stato il vedere che nessuno tra i media si è preso la briga di andare a vedere se o non se il progetto dello studio Masoero & De Carlo fosse un progetto sostenibile: non andava bene e basta.
Condannati senza possibilità, non dico di appello (sarebbe stato troppo) ma nemmeno di contradditorio.
In compenso si è assistito ad una genuflessione globale davanti al progetto di Gilles Clement, nuovo messia arrivato in terra sarda per valorizzare il colle di Tuvixeddu con distese di papaveri, teatro all'aperto e fruizione virtuale dei beni archeologici.
Un progetto, dal punto di vista di sostenibilità ambientale al limite del delirante e realizzato in poco meno di due mesi senza conoscere assolutamente le realtà del luogo.
E' ovvio che davanti ad una campagna denigratoria di questo livello, i contraccolpi sia professionali che umani sono stati terribili ed ancora più terribile deve essere stata la sensazione di essere soli ad insistere sulla bontà del progetto e non avere a possibilità di poter spiegare alla comunità le motivazioni del proprio lavoro.
Sicuramente da domani pioveranno sui due architetti (e Coimpresa) una valanga di (false) felicitazioni (saltiamo sul carro del vincitore?), una rivisitazione positiva del progetto e le solite ipocrite pantomime di rito, seppellendo in un solo colpo tutte le critiche al limite dell'insulto.
Ma niente e nessuno potrà mai risarcire questo periodo di vita dei due architetti, vittime insieme al loro progetto di una guerra non loro.

Tuvixeddu: le sentenze del Consiglio di Stato 1

Il Consiglio ddi Stato ha pubblicato in data 4 Agosto 2008 le sentenze sull'affare Tuvixeddu.
In sintesi ha dato torto alla Regione Sardegna annullando tutti i vincoli apposti dalla stessa sull'area di Tuvixeddu e ripristinando de facto il progetto originario della ditta Coimpresa.
Prima di qualsiasi commento e considerazione pubblico in integrale la sentenza del Consiglio di Stato.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.3894/08
Reg.Dec.
N. 1974 Reg.Ric.
ANNO 2008
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 1974/2008, proposto dalla Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente p,t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Vincenzo Cerulli Irelli, Paolo Carrozza e Gian Piero Contu e presso il primo elettivamente domiciliata in Roma, via Dora 1,
contro
la società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Corda, Antonello Rossi e Duccio Maria Traina e presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, via Carducci 4,
e nei confronti
del Comune di Cagliari, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marcello Vignolo, Massimo Massa, Ovidio Marras e Federico Melis, elettivamente domiciliato in Roma, via Portuense 104, presso la sig.ra Antonia De Angelis,
e
della società Cocco Raimondo Costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Corda, Antonello Rossi e Duccio Maria Traina e presso quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, via Carducci 4,
nonché
del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12,
e
dell’Associazione Italia Nostra O.N.L.U.S., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Dore e presso la propria sede elettivamente domiciliata in Roma, via Sicilia 66,
interveniente ad adjuvandum
e
dell’associazione Legambiente O.N.L.U.S., in persona del legale rappresentante p.t., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Andreozzi e Carlo Pisano ed elettivamente domiciliata in Roma presso la Segreteria del Consiglio di Stato,
interveniente ad adjuvandum
per la riforma
della sentenza del TAR della Sardegna, Sezione II, 8 febbraio 2008, n. 127;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio della società Nuove Iniziative Compresa s.r.l., del Comune di Cagliari, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nonché l’intervento ad adjuvandum dell’Associazione Italia Nostra e dell’associazione Legambiente;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti di causa;
relatore, alla pubblica udienza del 30 maggio 2008, il Consigliere Paolo Buonvino;
uditi, per le parti, gli avv.ti Cerulli Irelli, Carrozza, Contu, Vignolo, Massa, Corda, Rossi, Andreozzi, Traina, Ballero, Dore e l’avv. dello Stato Borgo.
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
Ritenuto in fatto:
1) – Con il ricorso introduttivo di primo grado (n. 168/2007) la società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l. ha chiesto l’annullamento:
- della determinazione 11 gennaio 2007, n. 4 con la quale il Direttore del servizio tutela del paesaggio di Cagliari dell’Assessorato regionale della P.I. ha stabilito di inibire per 90 giorni tutti i lavori riferibili ad opere pubbliche o a carattere privato nella zona Tuvixeddu- Tuvumannu e di sospendere tutti i lavori riferibili alle stesse opere;
- della direttiva del 11 gennaio 2007 n. 19/GAB/XIV.12.2 impartita dall’Assessore regionale della P.I. al Direttore generale del servizio tutela del paesaggio di Cagliari;
- delle disposizioni del 9 gennaio 2007 impartite dal Presidente della regione all’assessorato regionale della P.I., relativo alla inibizione e sospensione dei lavori in corso a Tuvixeddu- Tuvumannu.
Con motivi aggiunti, depositati il 9 maggio 2007, la stessa società ha, poi, chiesto l’annullamento:
- del provvedimento del 21.2.2007, con il quale la Commissione regionale per il paesaggio per la Sardegna, ai sensi dell’art. 138 del D.Lgs. n. 42/2004 ha proposto che il contesto Tuvixeddu-Tuvumannu-Is Mirrionis, fosse dichiarato di notevole interesse pubblico;
- della deliberazione della Giunta n. 51/12 del 12.12.2006, recante “Istituzione della Commissione regionale prevista dall’art. 137 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42”;
- degli atti con i quali l’amministrazione regionale ha chiesto che, a norma dell’art. 138 del D. Lgs. n. 42/2004 la Commissione regionale, di cui all’art. 137 formulasse una proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area Tuvixeddu- Tuvumannu;
- dell’atto del 10 gennaio 2007, con il quale il Direttore generale dell’assessorato regionale della P.I. ha convocato la Commissione regionale di cui all’art. 137 del codice Urbani;
- dell’atto del 15 gennaio prot. n. 335 con il quale il Direttore del servizio Tutela del paesaggio di Cagliari ha comunicato che l’amministrazione regionale - Assessorato della P. I. - aveva avviato il procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico della suddetta zona;
- dei verbali della Commissione regionale per il paesaggio e di tutte le valutazioni e le determinazioni ivi contenute;
- di tutte le riunioni della commissione regionale di cui all’art. 137 del codice Urbani;
- del “Regolamento interno” per i lavori della suddetta commissione regionale.
Con secondi motivi aggiunti, depositati il 16 ottobre 2007, la società ha anche chiesto, infine, l’annullamento della delibera della Giunta regionale della Sardegna che aveva approvato la proposta della commissione regionale di vincolo, che aveva dichiarato di notevole interesse pubblico paesaggistico l’area di Tuvixeddu-Tuvumannu–Is Mirrionis n. 31/12 del 22 agosto 2007, che aveva approvato le controdeduzioni alle osservazioni presentate dai soggetti interessati alla proposta di vincolo e che ha dato mandato agli assessori competenti affinché venisse rapidamente realizzato, anche in collaborazione col comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione ripristino delle suddette aree secondo le indicazioni di cui allo studio del prof. Gilles Clement;
2) - In linea di fatto ha premesso, il TAR, con la sentenza impugnata, che l’area di Tuvixeddu – Tuvumannu – Is Mirrionis, ricadente nell’ambito del centro urbano di Cagliari e oggetto del provvedimento di riqualificazione urbana, è vasta circa 48 ettari. Sul versante ovest di Tuvixeddu si trova una importante necropoli fenicio-punica e romana, sulla quale esiste un vincolo archeologico ex artt. 1, 3 e 21 della legge 1089/1939. Il vincolo riguardava prima una piccola area, ma è stato successivamente allargato fino a coprire l’intera area interessata dalla necropoli d’estensione di circa 12 ettari, protetta in parte da vincolo diretto ed in parte da vincolo indiretto.
Sin dal 1997, il complesso di cui sopra è stato vincolato quasi per intero ai sensi della legge 1497/1939 (vincolo paesaggistico).
A fine anni 70’ il comune di Cagliari ha realizzato, ai margini della suddetta zona, due interventi di edilizia economica e popolare, occupando vaste aree di proprietà privata.
L’area è stata per lungo tempo utilizzata per attività di cava ed stata anche oggetto di dimore abusive occasionali.
La società Coimpresa, ha sottoposto all’attenzione del Comune un progetto di “Riqualificazione urbana e ambientale dei colli di S.Avendrace”. Il consiglio comunale di Cagliari con deliberazione 1 ottobre 1997 n. 169 ha espresso parere favorevole sulla proposta urbanistica presentata dalla Compresa riguardo al PIA di cui alla L.R. 14/1996, ha invitato il Sindaco a stipulare l’accordo di programma ed a ricercare una proposta transattiva extra giudiziale del contenzioso esistente con i proprietari delle aree interessate dagli interventi di E.E.P.
Nel frattempo, il 16.10.1997, la Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali della provincia di Cagliari, costituita ai sensi dell'articolo 2 della legge 1497/1939 e dell'articolo 33 della legge regionale n. 45/1989, aveva apposto il vincolo paesaggistico di cui all'articolo 1, n. 3 e 4 della legge 1947/1939 su un'ampia area che comprende quasi per intero i colli di Tuvixeddu- Tuvumannu, da via San Avendrace sino a Piazza D’Armi.
Per effetto di questo provvedimento della Commissione provinciale, tutti i progetti di modificazione dei luoghi sono stati accompagnati dall'autorizzazione prevista, dapprima, all'articolo 7 della legge 1497/1939, quindi dall'articolo 151 del decreto legislativo n. 490/1999 e, oggi, dall'articolo 146 del decreto legislativo n. 42/2004.
Il progetto della società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l., in particolare, sottoposto all'esame dell'Ufficio tutela del paesaggio, costituito presso l'Assessorato regionale alla pubblica istruzione, ha ottenuto l'autorizzazione n. 3015 del 27/5/1999. In tale provvedimento si articolavano una serie di considerazioni molto favorevoli rispetto al progetto, in particolare si sottolineava che era apprezzabile la scelta di ridefinire totalmente il comparto e che “l'intervento progettato consente di ricucire un brano del tessuto urbano particolarmente significativo nel contesto cittadino”.
Il progetto del parco di Tuvixeddu aveva acquisito il parere della sovrintendenza archeologica di Cagliari in data 20 ottobre 1998 n. 4904/1.
Tra i dati più significativi si rileva che la superficie complessivamente interessata all'intervento è di circa 48 ettari, di cui 34 sono destinati a standards e a zona H -parco archeologico, mentre i 14 residui ad insediamenti edilizi.
In data 27/6/2000, negli uffici del Servizio sistema informativo ambientale, valutazione impatto ambientale ed educazione ambientale (SIVEA), istituito presso l'Assessorato regionale difesa dell'ambiente, e competente in Sardegna per la procedura di valutazione di impatto ambientale, si è tenuta una conferenza istruttoria, alla quale hanno partecipato i rappresentanti dello stesso servizio, degli assessorati regionali alla pubblica istruzione e all'urbanistica, della sovrintendenza archeologica di Cagliari-OR, della soprintendenza ai beni ambientali di Cagliari-OR e dell'assessorato all'urbanistica del Comune di Cagliari.
All'unanimità, la conferenza istruttoria ha approvato la relazione del Servizio (SIVEA) allegata al verbale ed ha escluso che l’intervento, per le sue caratteristiche dovesse essere sottoposto a procedura di VIA.
Il 25 luglio 2000 la Giunta regionale, con deliberazione n. 32/28, ha recepito il parere positivo della conferenza istruttoria del 27/6/2000 accogliendo la proposta dell'Assessore alla difesa dell'ambiente di concerto con quello della pubblica istruzione.
Con deliberazione n. 64 adottata il 25/7/2000, il Consiglio comunale di Cagliari ha approvato la bozza di transazione proposta, nell'ambito dell'accordo di programma dalla Coimpresa e da altri proprietari coinvolti dagli espropri; in virtù di questa proposta il contenzioso esistente è stato definito con un esborso complessivo di 43 miliardi, a fronte di 63 miliardi di debito che risultavano a carico del Comune di Cagliari.
In data 15/9/2000 è stato sottoscritto l'accordo di programma quadro tra il Comune di Cagliari, la Regione Autonoma dalla Sardegna, l'Assessorato regionale degli enti locali, la Società Iniziative Coimpresa, le signore Rosanna e Pier Franca Sotgiu, la Edilstrutture sas e la signora Anna Maria Mulas, concernente “progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace PIA CA 17 Sistema dei Colli.”
L'art. 3, comma 1, primo alinea, dell'accordo di programma stabilisce che la Regione Autonoma dalla Sardegna conferma il finanziamento di cui alla bozza di accordo del PIA CA 17 Sistema dei Colli allegato b), attraverso gli assessorati competenti, si impegna a mettere a disposizione del Comune di Cagliari la somma di 12 miliardi per la realizzazione del Parco Archeologico Urbano.
Il 3/10/2000 è stato, quindi, stipulato un accordo di programma inerente al PIA CA 17, autonomo rispetto all’accordo di programma del 15/9/2000, ma collegato ad esso. L'accordo di programma connesso al PIA CA è stato adottato con delibera di giunta regionale n. 37/1 del 13/9/2000 ed è stato sottoscritto dal Presidente della regione Sardegna, dagli Assessori regionali della programmazione, degli enti locali, dei lavori pubblici e della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport, dall'amministrazione provinciale di Cagliari, dal Comune di Cagliari e dalla società Coimpresa.
Con deliberazione n. 114 del 10.10.2000 il Consiglio comunale di CA ha ratificato l’accordo di programma del 15.9.2000.
Con decreto 21 novembre 2000 n. 180 il Presidente della giunta regionale ha approvato l’accordo di programma relativo al PIA CA 17, mentre con successivo decreto del 29 dicembre 2000 n. 208 lo stesso Presidente ha approvato l’accordo di programma quadro.
Il 17.5.2002 e il 25.5.2003 si è tenuta una conferenza di servizi convocata dal Comune di Cagliari, ai sensi dell’art. 7 della legge 109/1994, per ottenere il parere di tutte le amministrazioni interessate in ordine al progetto delle opere di urbanizzazione primaria predisposto dalla società N.I. Coimpresa; tutte le amministrazioni interessate, compresa la Sovrintendenza archeologica, hanno espresso parere favorevole.
Con convenzione sottoscritta il 5.6.2003 la società N.I. Coimpresa ha ceduto al comune le aree occorrenti per la viabilità, i parcheggi, il verde pubblico, il parco archeologico ed i servizi connessi alle residenze. Inoltre la medesima convenzione ha individuato le aree di proprietà privata destinate ad uso pubblico.
Il 26.11.2003, con la consegna dei lavori per la costruzione del parco archeologico urbano di Tuvixeddu, ha avuto inizio l’attuazione del progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace comprendente anche la viabilità di penetrazione urbana via Cadello - via S. Paolo e d’interconnessione tra l’asse mediano di scorrimento, l’asse litoraneo e le SS 130, 131, 195 e 554 i cui lavori sono stati consegnati il 3.10.2005 – il museo archeologico- i cui lavori sono stati consegnati il 29.12.2005 e gli interventi dei privati.
In data 14 ottobre 2005 il Presidente della giunta regionale, il Sindaco di Cagliari ed la società Coimpresa hanno sottoscritto un atto preventivo di intesa per la individuazione di tratti di viabilità di interesse urbano relativi al PIA, nel quale convenivano che non si riteneva essenziale, per la validità dell’iniziativa nel suo complesso, la realizzazione dell’ultimo tratto della viabilità di piano, individuato come 3° lotto.
Con delibera della Giunta regionale n. 22/3 del 24.5.2006 è stato adottato il PPR, definitivamente approvato con delibera n. 36/7 del 5.9.2006, con tale strumento è stata ampliata l’area già sottoposta a vincolo paesaggistico.
Con decreto 9 agosto 2006 n. 2323 l’assessore regionale della pubblica istruzione ha dichiarato di notevole interesse pubblico, ai sensi dell’art.140 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 la zona di Tuvixeddu- Tuvumannu; con successivo decreto del 12 ottobre 2006 n. 2836 lo stesso assessore ha parzialmente modificato il precedente decreto. Tali atti sono stati impugnati davanti al TAR dall’attuale ricorrente con ricorso n. 856/2006.
Nella camera di consiglio del 15 novembre 2006, fissata innanzi al TAR per la decisione della domanda cautelare, la Regione ha depositato in giudizio il decreto del 14 novembre con il quale l’assessore aveva revocato tali decreti.
Con determinazione del 11 gennaio 2007 n. 4 il direttore del Servizio regionale tutela del paesaggio di Cagliari (a seguito della direttiva impartitagli dall’Assessore della pubblica istruzione) ha inibito e sospeso tutti i lavori relativi alle opere pubbliche e private in corso di realizzazione nel colle di Tuvixeddu – Tuvumannu.
Contro tale determinazione è stato proposto ricorso giurisdizionale, con il quale la società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l. ha dedotto dieci motivi di censura.
Con determinazione del 27 febbraio n. 215 il Direttore del servizio tutela del paesaggio ha revocato il provvedimento impugnato.
In precedenza, con deliberazione n. 51/12 del 12.12.2006, adottata ai sensi dell’art. 137 del D.Lgs. 42/2004, la Giunta regionale aveva istituito una commissione regionale con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili di cui all’art. 136 del codice Urbani.
Con deliberazione n. 1/2 del 9.1.2007 la Giunta stessa ha incaricato l’assessore regionale della P.I. di fare quanto necessario per estendere il progetto di parco archeologico e di museo fenicio punico della zona di Tuvixeddu, in vista di una successiva espropriazione.
La commissione regionale è stata convocata il 10.1.2007, si è poi riunita sette volte ed infine, il 21.2.2007, con otto voti favorevoli ed il voto contrario del sovrintendente per i beni archeologici di CA e OR, ha approvato la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area di Tuvixeddu.
Contro tale provvedimento e contro tutti gli atti del procedimento la società Coimpresa ha proposto motivi aggiunti depositati il 9 maggio 2007.
Con delibera della Giunta del 22 agosto n. 31/12 è stata, infine, approvata la proposta della Commissione regionale di dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico dell’area di Tuvixeddu- Tuvumannu –Is Mirrionis e, con la stessa, è stato dato mandato agli assessori competenti affinché fosse rapidamente realizzato, anche in collaborazione col Comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione ripristino delle suddette aree secondo le indicazioni di cui allo studio del prof. Gilles Clement.
Contro tale ultima deliberazione ha proposto, la stessa società Coimpresa, con ulteriori motivi aggiunti, diciannove nuove censure.
3) - Si è costituita in giudizio in primo grado, resistendo ai detti gravami, l’Amministrazione regionale intimata.
Si è costituito in giudizio anche il Ministero per i beni e le attività culturali che ha eccepito pregiudizialmente il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito, ha contestato le tesi esposte in ricorso, chiedendone il rigetto.
Si è costituito in giudizio anche il Comune di Cagliari che chiede di essere sollevato da qualunque responsabilità che la società privata avesse far valere nei suoi confronti.
Con ordinanza collegiale n. 102/2007 il TAR ha disposto un sopralluogo nelle aree oggetto della controversia, al quale hanno partecipato i difensori e i tecnici della società ricorrente. Il relativo verbale è stato sottoscritto per presa visione ed adesione dai rappresentanti delle parti, nonché dai rappresentati della Regione che hanno inserito, nello stesso, alcune osservazioni.
Il sopralluogo è stato effettuato dal Collegio in data 20/9/2007, unitamente ai difensori delle parti: delle relative operazioni è stato redatto, dalla segretaria, apposito verbale, allegato agli atti di causa.
4) – Il TAR, con la sentenza appellata, dopo avere rigettato l’eccezione pregiudiziale di difetto di legittimazione passiva del Ministero per i beni e le attività culturali, ha anche rilevato che, nel procedere all’esame del ricorso, era da precisare che il gravame introduttivo era stato proposto anche contro una serie di atti dei quali, alcuni, non avevano natura provvedimentale, altri erano provvedimenti che avevano perso efficacia (sospensione dei lavori per 90 giorni), altri erano stati revocati dalla stessa amministrazione, o adottati da organi incompetenti, sicché, per questi, era da dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse al loro annullamento.
Quindi i primi giudici, atteso il consistente numero delle censure dedotte, hanno ritenuto che le stesse potessero essere associate per temi connessi.
I primi giudici hanno, quindi, affrontato il primo gruppo di motivi di ricorso, attinente ad aspetti “formali” relativi alla procedura di nomina della Commissione e, specificamente, la delibera n. 51/12 del 12.12.2006; al riguardo, hanno ritenuto fondate le censure secondo cui detta Commissione avrebbe dovuto essere istituita con legge regionale o con regolamento e che le Commissioni provinciali per il paesaggio, di cui all’art. 33 della L.R. n. 45/89, non erano “decadute”, ma ben potevano ancora operare; per l’effetto, poiché l’illegittimità della delibera istitutiva della Commissione investiva tutti i successivi atti del procedimento e, in particolare, tutti gli atti della Commissione stessa, compresa la proposta di vincolo e la delibera di Giunta che approvava tale proposta; il TAR, oltre ad annullare la predetta delibera di nomina della Commissione e tutti i successivi atti da questa assunti, è pervenuto anche all’annullamento, per invalidità derivata, della stessa delibera di Giunta impositiva del contestato vincolo.
5) - Il TAR ha, poi, ritenuto che quanto detto comportava che non sarebbe stato necessario procedere all’esame degli altri motivi di illegittimità dedotti; sennonché, attesi i riflessi che le determinazioni contestate rivestivano per il territorio del comune di Cagliari e considerati, altresì, l’imponente documentazione prodotta, la palese fondatezza di molte censure dedotte, il dispendio di energie e mezzi difensivi, la complessa ricostruzione dei fatti e dei luoghi che avevano indotto il Collegio a svolgere un apposito sopralluogo in situ, hanno anche ritenuto opportuno procedere all’esame di alcuni motivi, seguendo il criterio dell’aggregazione per connessione, con l’assorbimento dei rimanenti motivi.
5.1) - Così procedendo, il TAR ha ritenuto, anzitutto, illegittima la nomina della detta Commissione anche per la carenza di idonea documentazione in relazione alle specifiche professionalità dei soggetti “esterni” nominati dalla giunta (le modalità di nomina dei membri della commissione risentivano, infatti, della mancanza di una fonte gerarchicamente superiore che avrebbe dovuto prevedere in astratto i requisiti ed i relativi criteri di valutazione, in linea con le prescrizioni contenute nel testo unico; tanto che le nomine degli esperti “esterni” sono avvenute “visti i curricula”, senza la predeterminazione, a tal fine, di alcun criterio e senza che gli stessi fossero neppure allegati alla delibera); sempre al riguardo, i primi giudici hanno anche osservato che la scelta di detti membri della Commissione, per non apparire arbitraria e suscettibile di essere influenzata da opinioni ed orientamenti soggettivi, doveva essere preceduta dalla predeterminazione ed individuazione degli elementi caratterizzanti l’idoneità tecnica del soggetto destinato a ricoprire quell’incarico, idoneità che solo con una qualificata pluriennale e documentata professionalità ed esperienza, come richiesto testualmente dall’art. 137 del codice Urbani, può essere garantita, ma che niente di tutto questo era presente nella delibera impugnata.
Sempre in relazione ad aspetti formali dell’atto in questione il TAR ha, poi, condiviso la censura in cui si lamentava che alcuni componenti di diritto della commissione non avevano partecipato alle deliberazioni e si erano fatti sostituire da delegati; al riguardo i primi giudici hanno, tra l’altro, rilevato che la commissione regionale, istituita ai sensi dell’art. 137 del codice Urbani, deve formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico di immobili di particolare interesse pubblico e che, come tale, è composta da soggetti dalla stessa norma indicati, svolgenti funzioni predeterminate nell’ambito della P.A. e da soggetti esterni, esperti nella materia de qua; e che tale composizione, legislativamente stabilita e caratterizzata da alte professionalità, ad avviso della Sezione, configurava un collegio perfetto, che doveva sempre operare col plenum dei suoi componenti; tenuto conto, quindi, della funzione attribuita alla commissione nel contesto del procedimento, il consiglio regionale, con una legge o con un regolamento, avrebbe dovuto stabilire quale configurazione attribuirle in astratto e, in tale sede, apprezzare opportunamente la circostanza che l’art. 137 del codice Urbani parla, per alcuni componenti, di membri “di diritto”, imponendo agli organi regionali l’obbligo di garantire la presenza fissa di un nucleo di componenti insostituibili; diversamente da quanto succedeva in precedenza, con il codice Urbani le funzioni di queste commissioni sono state, in realtà, potenziate; ora devono predisporre delle proposte motivate “con riferimento alle caratteristiche storiche culturali, naturali, morfologiche ed estetiche degli immobili o delle aree che abbiano significato e valore identitario del territorio in cui ricadono..”, e non solo, ma, nelle stesse, devono anche indicare “una specifica disciplina di tutela, nonché l’eventuale indicazione di interventi di valorizzazione degli immobili…”; a tale potenziamento di funzioni ha fatto però illegittimamente seguito – sempre ad avviso dei primi giudici - una dequalificazione della fonte istitutiva e, comunque un’inammissibile frettolosa imprecisione nella definizione delle regole di costituzione e di funzionamento.
5.2) - I primi giudici hanno, quindi, esaminato e accolto il complesso di censure volte a contestare, anche in ragione di un sostanziale difetto istruttorio, l’esatta valutazione dello stato dei luoghi da parte della Commissione; e, al riguardo, hanno, anzitutto rilevato che detto organo non aveva considerato la situazione attuale dei luoghi (evidenziata dai rappresentanti del Comune nelle due audizioni del 29 gennaio 2007 e del 21 febbraio 2007), che appariva caratterizzata da una serie di lavori in avanzata fase di realizzazione, che avevano profondamente modificato le aree in questione.
Inoltre, ha osservato il TAR, uno dei punti essenziali evidenziati dalla Commissione nella relazione, ai fini dell’ampliamento del vincolo, è stato quello del valore archeologico e della scoperta di nuovi reperti nell’area; sennonché, la circostanza del ritrovamento di centinaia di tombe puniche, dopo il 1997, non risultava supportata da alcun elemento di prova; e proprio sotto il profilo della tutela archeologica l’arch. Santoni, Sovrintendente per i beni archeologici di Cagliari e Oristano e membro della Commissione, aveva espresso il proprio parere contrario all’estensione del vincolo sulla base delle motivazioni contenute nella nota n. 1048 del 12 febbraio 2007, allegata al verbale n. 6 in pari data.
Se pure, quindi, ha osservato, ancora, il TAR, nella relazione della Commissione erano stati messi in evidenza il paesaggio storico e le valenze storiche dell’area, non di meno il successivo passaggio era quello di mettere tali studi in stretta relazione con la realtà e, in particolare, con le modifiche che il territorio aveva subito nel corso degli anni; ma nessuna valutazione emergeva, sempre ad avviso dei primi giudici, dalla relazione non solo in ordine alla situazione della zona, così come si era evoluta, anche a seguito dei lavori – di non poco conto, come emerso nel corso del predetto sopralluogo - intrapresi dal comune e dai privati, in attuazione dell’accordo di programma, ma neppure in ordine alla eventuale collocazione degli interventi interrotti improvvisamente nella giusta logica di tutela del paesaggio esistente (al riguardo, il TAR ha ricordato l’effettuazione di lavori imponenti, quali ad esempio una lunga galleria, l’asse viario di interesse urbano via Cadello-via San Paolo, profondi scavi di fondazione per realizzare gli edifici previsti dall’accordo di programma sulla via Is Maglias, un edificio già realizzato per l’ingresso al museo, nonché opere di contenimento, gabbie imbrigliate destinate al rinverdimento, etc.. il Collegio ha anche potuto verificare che attraverso i “coni visivi”, con base sulla linea di perimetrazione verso l’area tutelata, in via Liguria, non si riesce ad intravedere nessun panorama né alcuno spettacolo di particolare bellezza, essendo tali punti, come individuati dalla Commissione, del tutto coperti dalle costruzioni esistenti che non consentono una visuale utile).
Né a contrastare quanto al riguardo osservato nel corso del ripetuto sopralluogo poteva – sempre ad avviso dei primi giudici - essere utilmente richiamato il sopralluogo effettuato dalla Commissione in data 29 gennaio 2007, la stessa essendosi limitata, in tal sede, alla verifica delle opere di cui al cantiere comunale del parco archeologico, mentre, per il resto, era giunta ”fino alla parte alta del colle di Tuvixeddu, alla villa Mulas, da dove ha potuto osservare da diversi punti le visuali che la morfologia dei luoghi consente di traguardare sia in direzione di S. Avendrace e S. Gilla sia verso via Is Maglias e il Colle S. Michele e tutti gli altri coni visuali percepibili in tutta l’area”, mentre aveva trascurato di visitare – e anche solo di citare - tutte le aree oggetto degli ingenti lavori da parte delle società Coimpresa e Cocco Raimondo, laddove, per una approfondita ed esaustiva istruttoria, tutta l’area ricompresa nel progetto di riqualificazione urbana avrebbe dovuto essere oggetto di analisi e di verifica concreta sul posto, al fine di acquisire una esatta conoscenza dello stato dei lavori e dei luoghi, non ritenendosi sufficiente la sola visuale dall’alto; in particolare, e tra l’altro, hanno ancora osservato, i primi giudici, che la Commissione non aveva tenuto conto che gli aspetti urbanistici ed edilizi, che caratterizzavano la corrente situazione urbana complessiva, costituivano elementi inscindibili del paesaggio e delle relative prescrizioni di tutela, né aveva tenuto conto dei processi insediativi che avevano portato all’attuale edificato, né del fatto che gli interventi edilizi ed infrastrutturali previsti dagli accordi di programma erano quasi tutti localizzati nelle depressioni e negli spazi creati dalla dismessa attività di cava.
5.3) - Il TAR ha, quindi, esaminato e condiviso il gruppo di censure riguardanti la partecipazione del Comune alle fasi del procedimento e, al riguardo, ha ritenuto che, dagli atti depositati in corso di causa, era emerso che il Comune medesimo era stato sentito due volte dalla Commissione, ma che, in effetti, non si era tenuto conto, in tali audizioni, di quanto dallo stesso evidenziato sia in relazione all’accordo di programma, sia in relazione alle aspettative dei privati e delle molteplici amministrazioni coinvolte, sia ai lavori in avanzata fase di realizzazione, che avevano profondamente modificato le aree, sia agli ingenti costi già sostenuti, sia, infine, alle cessioni delle aree da restituire ai privati; non vi era, quindi, dubbio circa la sostanziale estromissione del Comune nella fase istruttoria da parte della Commissione e le stesse audizioni, fatte senza che al Comune fossero neppure fornite per tempo le necessarie informazioni, non avevano sortito alcun effetto, neppure un dubbio, sulle decisioni già assunte, in aperta violazione del principio di cooperazione di cui all’art. 132 del codice Urbani.
Principio, sempre ad avviso del TAR, nuovamente violato, in maniera anche più marcata, da parte della Giunta regionale, dopo la fine dei lavori della Commissione, nella fase in cui il Comune ha espresso, sulla proposta di vincolo, le proprie osservazioni; come, infatti, dedotto da detta Amministrazione comunale in sede di motivi aggiunti, la Regione non ha tenuto in alcun conto quanto da essa precisato sia nella premessa che nel contesto delle specifiche osservazioni contenute nel documento inviato alla Presidenza della Giunta al fine di evidenziare una serie di problematiche molto complesse, derivanti dall’apposizione del vincolo nelle aree Tuvixeddu-Tuvumannu-Is Mirrionis.
Al riguardo, i primi giudici hanno ritenuto, tra l’altro, che la partecipazione del Comune al procedimento de quo era stata solo “formale” e non “reale”, come invece prescritto dal codice Urbani sia nell’art. 132, sia nell’art. 138, con i quali è stato riproposto dal legislatore il principio della “leale collaborazione” fra enti locali, corollario del canone costituzionale del buon andamento dell’amministrazione; e, sempre secondo il TAR, il Comune aveva inteso sottoporre all’attenzione della Commissione e, poi, della Giunta, la situazione reale dei luoghi, il livello di compromissione del sito, anche per via degli interventi risalenti che lo avevano reso del tutto diverso da quello illustrato nella proposta della Commissione sulla base di cartografie storiche e su toponimi; in ogni caso, la Giunta non aveva fornito alcuna risposta esauriente né su tali profili, né in relazione all’ampliamento così esteso del vincolo né, in genere, con riguardo ad alcuna delle numerose osservazioni dal Comune stesso formulate.
5.4) - I primi giudici hanno, quindi, affrontato il gruppo di censure riguardanti la mancata considerazione dell’accordo di programma.
Al riguardo, il TAR ha osservato, tra l’altro, che, la situazione in fatto era del tutto peculiare in quanto, con l’accordo di programma di cui si tratta, non si era inteso perseguire un interesse esclusivamente urbanistico, ma anche paesaggistico, tanto che era stato predisposto un “Progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei colli di S. Avendrace”; che vaste porzioni delle aree in questione erano state sottoposte a tutela archeologica e paesistica, durante un percorso durato 10 anni e, con l’accordo, l’amministrazione comunale si era posta una serie di obiettivi, anche di tutela e valorizzazione ambientale, oltre che di strumentazione urbanistica (basti pensare alla creazione di un vasto parco urbano, collegato al più ampio sistema dei parchi collinari cittadini, alla valorizzazione della zona archeologica, al recupero ambientale delle zone delle cave, con eliminazione delle situazioni di pericolo e di degrado causate dalle attività estrattive); tutto questo nel rispetto di quei vincoli che sia la Sovrintendenza archeologica che quella paesistica avevano posto sulle aree in questione. Inoltre, sempre ad avviso del TAR, era da tenere conto anche del fatto che l’accordo di programma quadro era stato sottoscritto il 15 settembre 2000 dal comune di Cagliari, dalla Regione sarda e da soggetti privati, dopo che sul progetto era stato dato motivato parere positivo (27 maggio 1999) dall’Assessorato della pubblica istruzione della Regione stessa – Ufficio Tutela del paesaggio - preceduto da quello, pure favorevole, del Ministero per i beni culturali ed ambientali n. 4904/1 in data 20 ottobre 1998; e che, infine, la stessa Giunta regionale, con del. n. 32/28 del 25 luglio 2000, aveva ratificato la proposta degli Assessori regionali della difesa ambiente e della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport, a conclusione dei risultati della conferenza istruttoria del SIVEA, promossa ai sensi dell’art. 13 della l.r. 18.1.1999 n. 1, con la dichiarazione della non assoggettabilità alla procedura di VIA del progetto; con tutto ciò volendo evidenziare, i primi giudici, che i profili di tutela paesaggistica, nel progetto in questione, erano stati ben valutati e considerati da parte delle amministrazioni e degli uffici preposti alla tutela di questo interesse, che, infine, unanimemente avevano considerato tale progetto valido, coerente e utile al fine di recuperare una vastissima area urbana in stato di grave degrado.
Elementi, tutti questi, che la Regione non avrebbe potuto sempre, secondo il TAR, di fatto trascurare, anche a cagione del fatto che all’accordo in parola era già stata data, dalle parti, ampia esecuzione.
In definitiva, ha rilevato il TAR, l’accordo di programma quadro non è stato considerato non solo sotto il profilo giuridico, quale istituto di programmazione negoziata avente efficacia vincolante fra le parti, ma neppure sotto il profilo fattuale, nel senso della sua (se pur parziale) già intrapresa esecuzione: in altre parole, la Regione ha deciso come se l’area non fosse stata affatto coinvolta dai lavori previsti nell’accordo, pertanto, come se tale strumento non esistesse e non avesse avuto alcuna concreta attuazione; e la stessa “nuova accresciuta sensibilità” affermata nella relazione della Commissione, nella materia dei beni paesaggistici, deve fare i conti con la dimostrazione certa ed inconfutabile che il precedente regime di tutela e salvaguardia della zona in questione riferito ad una determinata perimetrazione delle aree sia del tutto inidoneo a garantire congruamente il suo valore paesaggistico, sicché, in tal caso, devono essere evidenziati con assoluto scrupolo i fatti nuovi richiedenti un diverso e più incisivo intervento, tenendo sempre presente che si va ad incidere su situazioni soggettive particolarmente qualificate (diritti nascenti da accordi negoziati), ancorate a legittimi affidamenti, creati, invero, dalla stessa amministrazione regionale, che dopo anni di concertazione concordata, oggi decide di cambiare “la filosofia del paesaggio”, sostituendo a quella dell’edificato quella del vuoto.
5.5) - Da ultimo, i primi giudici hanno esaminato e condiviso il gruppo di censure che si appuntavano sulla individuazione di una serie di comportamenti ritenuti significativi ai fini dell’individuazione di uno sviamento di potere, sia nell’attività della Commissione, sia in quella dell’amministrazione regionale.
In particolare, il TAR ha ritenuto che vizi siffatti fosse possibile riconoscere, anzitutto, nel fatto che l’amministrazione regionale, nella stessa delibera (n. 31/12 del 22 agosto 2007) di approvazione della proposta di vincolo, aveva dato mandato agli assessori competenti “affinché venga rapidamente realizzato, anche in collaborazione con il comune di Cagliari, il progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree di Tuvixeddu – Tuvumannu - Is Mirrionis secondo le indicazioni contenute nello studio del prof. Gilles Clement”; al riguardo, come precisato in sentenza, l’esistenza, già al momento dell’approvazione del vincolo, di un altro progetto sostitutivo del precedente faceva sorgere il legittimo sospetto che l’idea originaria fosse quella di rendere impossibile il completamento delle opere avviate e che il fine perseguito non fosse tanto, quindi, quello di tutelare e salvaguardare un’area pregevole, quanto di cambiare la tipologia di intervento, essendo cambiata, nel frattempo, più che la sensibilità verso il paesaggio, l’orientamento della Giunta regionale e del suo Presidente nei confronti di tale area cittadina; e numerosi erano gli indizi rivelatori in tal senso, puntualmente, di seguito, elencati e puntualizzati dal TAR, tra loro tutti finalisticamente concatenati.
6) - Per i motivi tutti che precedono i primi giudici, con la sentenza appellata, in accoglimento del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti ed assorbiti gli ulteriori motivi, hanno annullato: la delibera della Giunta regionale n. 51/12 del 12 dicembre 2006, istitutiva della Commissione regionale per il paesaggio, la proposta di vincolo della Commissione del 21 febbraio 2007 e la delibera di Giunta n. 31/12 del 22 agosto 2007, di approvazione della proposta della Commissione regionale per il paesaggio; inoltre, ha annullato le delibere della Giunta n. 1/2 del 9 gennaio 2007 e n. 5/23 del 7 febbraio 2007; mentre tutti gli altri atti impugnati erano da ritenersi atti endoprocedimentali, non aventi natura di provvedimenti autonomamente lesivi, essendo stati emanati nell’ambito della diverse fasi procedimentali, preordinate esclusivamente all’emanazione degli atti definitivi, il cui annullamento determinava, conseguentemente, la perdita di ogni effetto degli stessi .
7) – La sentenza è appellata dalla Regione Sardegna che ne deduce l’erroneità sotto molteplici profili e chiede che, in riforma della stessa, venga respinto il ricorso di primo grado.
Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali aderendo alle tesi esposte con l’appello.
Sono intervenute ad adjuvandum le associazioni o.n.l.u.s. Italia Nostra e Legambiente.
Si sono anche costituite in giudizio, resistendo e insistendo per la conferma della sentenza appellata, la società Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l., la società Cocco Raimondo Costruzioni s.r.l. e il Comune di Cagliari.
Con memorie conclusionali le parti ribadiscono i rispettivi assunti difensivi.
Considerato in diritto
1) – Con la sentenza impugnata il TAR, in accoglimento del ricorso n. 168/2007, proposto dalla società Nuove Iniziative Coimpresa s.r.l., ha annullato la delibera della Giunta regionale della Sardegna n. 51/12 del 12 dicembre 2006, istitutiva della Commissione regionale per il paesaggio, la proposta di vincolo formulata della Commissione stessa in data 21 febbraio 2007, nonché la delibera di Giunta n. 31/12 del 22 agosto 2007, di approvazione della proposta della Commissione regionale per il paesaggio e conseguente apposizione di vincolo paesaggistico; ha, inoltre, annullato le delibere della stessa Giunta n. 1/2 del 9 gennaio 2007 e la n. 5/23 del 7 febbraio 2007.
2) - Si duole, anzitutto, la Regione appellante del fatto che il TAR abbia, dapprima, respinto le istanze cautelari avanzate dalla società ricorrente e, poi, ne abbia, invece, accolto nel merito il ricorso, con accresciute conseguenze di carattere risarcitorio in capo alla stessa amministrazione regionale; e ciò sebbene le censure (accolte dal TAR con la sentenza appellata), relative alla legittimità della costituzione della Commissione regionale, di cui si dirà, abbiano fatto oggetto di ampia trattazione in primo grado già nella predetta fase cautelare.
2.1) - Tale doglianza appare priva di consistenza in quanto nella fase cautelare i primi giudici hanno, logicamente, tenuto conto, in misura preminente, dell’interesse generale a non vedere compromesso definitivamente il territorio nelle more del giudizio, la salvaguardia dei beni ambientali, particolarmente avvertita anche a livello costituzionale, avendo, coerentemente prevalso, nel legittimo bilanciamento degli interessi, sulla considerazione dell’eventuale pregiudizio patrimoniale che, in prospettiva, la Regione avrebbe potuto subire a seguito dell’accoglimento del ricorso nel merito susseguente all’accoglimento della ripetuta domanda di sospensione dell’efficacia degli atti impugnati.
2.2) - Quanto al fatto – pure in questa sede lamentato - che il TAR, in modo che si assume essere perplesso, oltre a pronunciarsi sull’assorbente (per la Regione) pronuncia in tema di costituzione e legittimità della Commissione regionale, abbia, con ampio obiter dictum, affrontato anche le censure di merito, può osservarsi che costituisce, invero, una ordinaria modalità nella produzione della giustizia amministrativa che, una volta definito il gravame in sede preliminare o di accoglimento di censure di carattere formale, si indulga, non di rado, da parte del giudicante, anche ad affrontare il merito delle questioni sottoposte e soddisfare, così l’interesse delle parti a conoscere quale sarebbe stata, comunque, la risoluzione della controversia sul piano sostanziale, onde meglio orientare le proprie successive scelte a livello processuale o operativo (e così consentendo, per esemplificare, alla stessa amministrazione di meglio definire la propria azione laddove, a seguito del giudicato, costretta a reiterare l’esercizio dell’attività amministrativa, una volta sfrondata la propria azione dai rilevati vizi formali).
3) – Deduce, quindi, l’appellante l’erroneità della sentenza impugnata, anzitutto, nella parte in cui i primi giudici hanno accolto il gruppo di censure con le quali la società ricorrente aveva contestato la legittimità della costituzione della Commissione regionale prevista dall’art. 137 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (delibera di Giunta regionale n. 51/12 del 2006 cit.).
In particolare, assume la deducente, la sentenza stessa errerebbe palesemente in ordine alla qualificazione del Codice Urbani di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 (specie dopo le integrazioni di cui al d.lgs. n. 157 del 2006) e delle norme in esso contenute, omettendo di considerarlo come “legge di riforma economico sociale”, abrogativo della normativa regionale previgente in contrasto con esso e costituente limite alla potestà regionale esclusiva ai sensi dell’art. 3 dello Statuto sardo; così come errerebbe nel non ritenere applicabili al caso in esame le norme statutarie e i principi generali in ordine agli effetti sulla legislazione regionale conseguenti all’introduzione di una legge statale di riforma economico sociale che innova i principi in materia (norma che avrebbe, per i suoi specifici connotati, carattere autoapplicativo); ed errerebbe anche sul significato dell’art. 137, u.c., del Codice in ordine all’ultrattività delle vecchie Commissioni provinciali per il paesaggio, già disciplinate, nella Regione Sardegna, dalle disposizioni di cui all’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989; con l’aggiunta che le Commissioni regionali operanti sotto la precedente consiliatura dovrebbero ritenersi da tempo, ormai, definitivamente cessate (ai sensi sia dello stesso, ora citato, art. 33, sia, comunque, a mente della disciplina di cui alla l.r. n. 11 del 1995) e neppure operanti – per divieto normativo – in regime di prorogatio.
Il nuovo Codice, invero, assume, ancora, la Regione, avrebbe profondamente modificato i principi della materia e, quindi, anche la cornice di riferimento per le Regioni a statuto speciale; lo stesso avrebbe, introdotto, infatti, un radicale mutamento della nozione di paesaggio, di tutela paesaggistica e di vincolo paesaggistico; la Regione Sardegna manterrebbe, è vero, la propria competenza esclusiva in materia di ambiente e paesaggio, ma, fino a che non ne farà nuovo esercizio, adeguandosi ai principi del Codice Urbani stesso, per effetto dell’art. 57 dello Statuto, troverebbe in essa applicazione la legislazione statale di riforma; in particolare, l’ora citato art. 57 prevede che: “nelle materie attribuite alla competenza della regione, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali, si applicano le leggi dello Stato” (norma, quindi, si assume, per certi versi analoga a quella contenuta nell’art. 10 della c.d. legge “Scelba” n. 62 del 1953); la legge dello Stato contenente nuovi principi fondamentali avrebbe, quindi, effetto abrogativo delle leggi regionali non conformi e sarebbe immediatamente applicabile nelle Regioni stesse; in conclusione, deduce, ancora, l’appellante, il Codice Urbani non avrebbe fatto venire meno eventuali competenze esclusive delle Regioni, ma, fino all’esercizio concreto di tali competenze, in armonia con i principi del Codice, questo avrebbe valore suppletivo ed i suoi nuovi principi dovrebbero trovare applicazione diretta anche nelle Regioni e, per ciò che qui interessa, nella regione Sardegna, non essendo la previgente legislazione regionale in armonia con i principi introdotti dalla novella normativa statale.
4) - La complessa censura ora riportata è infondata.
Al riguardo giova ricordare che la Corte Costituzionale (cfr. sent. 31 maggio 2001, n. 170) ha ripetutamente escluso qualsiasi rilievo decisivo alla autoqualificazione di riforma economico-sociale, contenuta in taluni contesti normativi, direttamente operata dal legislatore, occorrendo, invece, far riferimento alla obbiettiva natura della norma in discussione (cfr. anche le sentenze della stessa Corte Costituzionale n. 355 del 1994 e n. 151 del 1986); e a, altresì, evidenziato l'esigenza di unità delle scelte politiche fondamentali della Repubblica, esigenza a difesa della quale è appunto posto il limite alla potestà normativa regionale o, se del caso, provinciale.
Atteso, infatti, l'evidente vincolo che in tale modo potrebbe essere posto alla concreta esplicazione della potestà normativa locale, la stessa Corte ha costantemente affermato che non qualsiasi modifica legislativa merita di essere definita di "riforma economico-sociale", spettando, invece, tale qualità solo a quelle norme che corrispondono a scelte di “incisiva innovatività” in settori qualificanti la vita sociale del Paese e, in particolare, a quelle che mirano a strutturare tali settori attraverso istituzioni che, per la natura degli interessi che coinvolgono, non possono che valere sull'intero territorio nazionale; e che non tutte le disposizioni contenute in una legge di riforma hanno il carattere di “norma fondamentale”, dovendo questo essere riconosciuto esclusivamente ai principi fondamentali enunciati o, comunque, desumibili (cfr., fra le ultime, le sentenze n. 477 del 2000 e n. 482 del 1995), ovvero a quelle disposizioni che siano legate ai principi fondamentali da un vincolo di coessenzialità o di necessaria integrazione (cfr. sentenza n. 323 del 1998).
Fatta tale premessa, giova ricordare, per ciò che attiene al presente caso, che, nel d.lgs. n. 42 del 2004 - in cui non si parla, comunque, espressamente di disciplina normativa di fondamentale riforma economico sociale – è previsto,all’art. 7, che “il presente codice fissa i principi fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale. Nel rispetto di tali principi le regioni esercitano la propria potestà legislativa”.
In questo contesto, deve ritenersi che l’art. 137 dello stesso Codice miri semplicemente a ridisciplinare, sul piano strutturale-organizzativo, le Commissioni provinciali previste dall’art. 2 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (regolamento per l’applicazione della legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali), per le quali l’originaria formulazione del Codice Urbani – art. 137 - prevedeva, che: “con atto regionale è istituita per ciascuna provincia una commissione con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) e delle aree indicate alle lettere c) e d) dell'articolo 136”; e che “della commissione fanno parte di diritto il direttore regionale, il soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio, il soprintendente per i beni archeologici competenti per territorio”; mentre “i restanti membri, in numero non superiore a sei, sono nominati dalla regione tra soggetti con particolare e qualificata professionalità ed esperienza nella tutela del paesaggio”.
Il testo dell’art. 137 ora detto è stato modificato dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, nei termini che seguono:
“1. Ciascuna regione istituisce una o più commissioni con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 136 e delle aree indicate alle lettere c) e d) del comma 1 del medesimo articolo 136.
2. Di ciascuna commissione fanno parte di diritto il direttore regionale, il soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio, il soprintendente per i beni archeologici competenti per territorio nonché due dirigenti preposti agli uffici regionali competenti in materia di paesaggio. I restanti membri, in numero non superiore a quattro, sono nominati dalla regione tra soggetti con qualificata, pluriennale e documentata professionalità ed esperienza nella tutela del paesaggio, eventualmente scelti nell'ambito di terne designate, rispettivamente, dalle università aventi sede nella regione, dalle fondazioni aventi per statuto finalità di promozione e tutela del patrimonio culturale e dalle associazioni portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349. Decorsi infruttuosamente sessanta giorni dalla richiesta di designazione, la regione procede comunque alle nomine”.
Così operando, peraltro, il legislatore nazionale, con norma valida per tutte le Regioni, si è limitato a dare facoltà alle stesse di istituire non più necessariamente una Commissione per ogni provincia, ma, se del caso, anche una sola Commissione per tutta la regione, senza, peraltro, imporre in alcun modo, l’una o l’altra opzione; inoltre, ha previsto che nei detti organi collegiali vengano inseriti due dirigenti regionali preposti a uffici di settore e ha ridotto da sei a quattro gli esperti, per i quali ha inteso individuare le possibili fonti di provvista.
Ebbene, non può certamente dirsi che modifiche di portata strutturale-organizzativa così modesta e destinate, potenzialmente, a trovare, nelle singole Regioni, soluzioni variamente differenziate date le opzioni offerte, possano assurgere al rango di fondamentali norme di principio di riforma economico-sociale; tanto più che non si tratta di norma destinata ad operare quale forma di tutela diretta dei beni paesaggistico-ambientali o volta a incidere direttamente sui titolari degli stessi o introdotta a diretto beneficio della collettività in materia, ma solo a riconoscere un certo spazio, nelle Commissioni stesse, alla dirigenza regionale di settore, con sacrificio della componente esterna, ovvero a dare indicazioni circa le possibili alternative di scelta di tale ultima componente.
Se la norma fosse dotata della rilevante portata che la Regione appellante ritiene, nelle proprie difese, di assegnarle, non si comprenderebbe, del resto, il motivo per cui lo stesso legislatore nazionale, con il comma 3 del novellato art. 137 (modifica introdotta dal citato d.lgs. n. 157 del 24 marzo 2006), abbia previsto che, “fino all'istituzione delle commissioni di cui ai commi 1 e 2, le relative funzioni sono esercitate dalle commissioni istituite ai sensi della normativa previgente per l'esercizio di competenze analoghe” e, quindi, dalle pregresse Commissioni provinciali, della cui legittimità, sotto il profilo della struttura costitutiva - e in attesa dell’adeguamento della disciplina regionale – lo stesso legislatore nazionale non ha, evidentemente, dubitato; ciò è confermato dalla Relazione di accompagnamento al medesimo d.lgs. n. 157 del 2006 (dalla stessa appellante richiamata nelle proprie difese) ove è precisato che “si è aggiunto, infine, un comma 3 contenente una previsione transitoria necessaria ad evitare la paralisi delle commissioni provinciali in attesa che le Regioni provvedano alla nomina delle nuove commissioni in base alla presente disciplina”.
E la mantenuta operatività delle Commissioni provinciali regolate dalla pregressa disciplina è pure pienamente confermata dall’art. 158 dello stesso d.lgs. n. 42 del 2004, a mente del quale “fino all’emanazione di apposite disposizioni regionali di attuazione del presente codice restano in vigore, in quanto applicabili, le disposizioni del regolamento approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357” (di cui, come si ripete, l’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989 costituisce espressa attuazione).
In questa situazione deve ritenersi che, per ciò che attiene alla Regione Sardegna (dotata, tra l’altro, statutariamente, ai sensi dell’art. 57 del citato Statuto sardo, di competenza legislativa nella materia ambientale, giusta quanto pure ricordato, al riguardo, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 2006, dalla stessa appellante pure richiamata), sia tuttora pienamente vigente il disposto di cui all’art. 33 della legge regionale n. 45 del 22 dicembre 1989, il quale prevede una peculiare composizione (per certi versi, più vicina, quanto a partecipazione ad essa di tecnici regionali, a quella indicata dal novellato art. 137 del d.lgs. n. 42/2004, mentre se ne discosta per ciò che attiene alle nomine di fonte “politica”) delle Commissioni provinciali di cui all’art. 2 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, che si differenzia rispetto a quella, a suo tempo, da quest’ultima norma prevista, così come dalla composizione di cui all’originario art. 137 del d.lgs. n. 42/2004, il cui testo è stato dianzi riportato.
E, in ogni caso, come rilevato, il citato art. 7 del Codice prevede che l’attuazione dei principi contenuti nel Codice stesso trovino attuazione attraverso l’esercizio, da parte delle regioni della “propria potestà legislativa”; ciò che, nella specie, non ha, comunque, avuto luogo, atteso il carattere meramente provvedimentale dell’atto che, nell’ottica regionale, avrebbe costituito attuazione della norma, asseritamente di principio, di cui all’art. 137 cit..
A questo riguardo può anche osservarsi, incidentalmente, che la struttura delle Commissioni prevista dall’originario testo del Codice Urbani differiva sostanzialmente dalla struttura prevista per le Commissioni stesse dal citato art. 33 della l.r. n. 45 del 1989, tanto che la Regione ha avvertito l’esigenza di modificare la propria disciplina normativa del 1989 (già oggetto, a sua volta, di modifica con l.r. n. 1 2 agosto 1998, n. 28) per adeguarsi al testo medesimo; e ciò ha fatto con disegno di legge n. 161 presentato il 2 agosto 2005 dalla Giunta.
Appare, quindi, per certi versi, singolare che la medesima Regione appellante abbia inteso, con semplice delibera di Giunta (proponente, in precedenza, detto schema legislativo), abdicare alle proprie potestà normative primarie e secondarie nella materia, di cui si tratta (contraddicendo anche il proprio precedente operato propositivo di un’apposita novella normativa), ritenendo che una norma statale di semplice organizzazione degli uffici, non costituente norma di riforma economico-sociale e neppure pienamente definita per ciò che attiene agli ambiti di operatività e alle modalità di costituzione degli stessi (avendo rimesso alle Regioni le necessarie scelte opzionali al riguardo), potesse prevalere sugli assetti normativi primari che la stessa Regione (in aderenza, in tal caso, ai principi autonomistici che ne ispirano l’azione) aveva inteso darsi, a suo tempo, avvalendosi delle proprie prerogative in materia, fino a procedere alla nomina dell’organo sulla base della sola norma statale e senza neppure rimettere alle necessarie scelte politiche dell’organo consiliare l’esercizio delle molteplici opzioni che, come cennato, la norma statale stessa rimetteva direttamente alla Regione; e ciò pur in presenza (art. 8 del d.lgs. n. 42/2004) di una norma dello stesso Codice Urbani secondo cui “nelle materie disciplinate dal presente codice restano ferme le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione”.
Né si dica che l’esercizio di dette opzioni era solo facoltativo e che la norma statale avrebbe recato una dettagliata disciplina della Commissione regionale, tanto esauriente da potere immediatamente essere applicata anche con semplice atto amministrativo; la determinazione di istituire un’unica Commissione e di non utilizzare il meccanismo delle terne di cui al comma 2 dello stesso art. 137 implica, infatti, già di per sè, una scelta politica di carattere generale che spettava al legislatore regionale assumere, trattandosi di determinazione afferente alla organizzazione degli uffici.
Si noti ancora, al riguardo, che la determinazione della struttura delle Commissioni di cui si tratta compete, evidentemente, nella Regione Sardegna, alla disciplina normativa di carattere primario, le analoghe Commissioni provinciali essendo state, a suo tempo, disciplinate con la ripetuta legge regionale del 1989; sicché, non costituendo, la disciplina statale, in quanto indefinita nelle sue possibili opzioni alternative, norma autoapplicativa, non poteva la Regione darle diretta e immediata applicazione in via amministrativa, ma solo adeguare, al riguardo, i propri previgenti assetti normativi e, quindi, modificare con apposita legge ciò che, in precedenza, con legge era stato regolato e con disciplina che, afferendo alla istituzione di organi e uffici amministrativi, logicamente era stata promanata dall’organo legislativo regionale nell’esercizio delle proprie prerogative di produzione normativa primaria (ferma restando, naturalmente, la potestà regionale di delegificare la materia nei termini e limiti definiti, peraltro, in tal caso, da apposita norma primaria).
E di ciò, del resto, la stessa Regione Sardegna si era correttamente avveduta in un primo tempo, essendo stato sottoposto, come detto, al vaglio consiliare il citato, apposito schema legislativo di attuazione dell’originario testo dell’art. 137; ma, a maggior ragione, avrebbe dovuto farsene carico con l’entrata in vigore delle modifiche a quella stessa norma introdotte dal d.lgs. n. 157/2006; ciò che, invero, sarebbe stato pienamente in linea, da un lato, con il normale riparto di competenze Stato/Regione autonoma e, dall’altro, con l’esigenza che il competente organo consiliare si determinasse puntualmente nello scegliere tra le molteplici opzioni offerte, come si ripete, dalla novellata norma statale (nel senso, ad esempio, di optare per una o più Commissioni in ambito regionale, ovvero di avvalersi di quanto previsto in merito alle modalità di individuazione degli esperti, con l’utilizzazione o meno del meccanismo delle terne designate da università, fondazioni o associazioni precisate nella norma stessa o, infine, di rimettere ad altro e/o altri organi l’esercizio delle opzioni medesime); e le scelte ora dette non rivestono, invero, carattere meramente facoltativo, bensì alternativo, il legislatore statale avendo rimesso alla Regione ogni doverosa, preventiva determinazione in merito al numero delle Commissioni da nominare e, correlativamente, all’estensione territoriale dei rispettivi bacini operativi, nonché alle modalità di individuazione dei componenti e ciò, si ripete, in conformità con i principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost. in tema di organizzazione degli uffici e di determinazione, tra l’altro, delle rispettive sfere di competenza.
Viceversa, la Giunta, senza esservi affatto astretta, ha ritenuto di derogare alla disciplina primaria regionale di settore, di ritenere prevalente, su questa, la sopravvenuta norma statale (per i motivi anzidetti, neppure costituente norma di riforma economico-sociale e, per espressa sua previsione, facente salva la piena operatività dei vigenti assetti normativi fino al momento dell’adeguamento delle norme regionali alla novella normativa del 2006, ferme restando le potestà attribuite alle Regioni a statuto speciale, come la Sardegna, e relative norme di attuazione) e di procedere alla nomina dei componenti del nuovo organo sulla base di una propria opzione ermeneutica volta a privilegiare la costituzione di una singola Commissione regionale, previa designazione degli esperti operata senza tenere alcun conto della predetta, ulteriore opzione offerta, con il sistema delle “terne”, dallo stesso legislatore nazionale ed in assenza della previa definizione, a livello regolamentare, di alcun meccanismo selettivo degli esperti stessi (tanto che questi sono stati individuati sulla base di semplici curricula, senza preventiva, specifica precisazione dei requisiti richiesti – al di là della generica indicazione offerta, al riguardo, dalla norma statale – e, in un caso, sulla base, si noti pure, di un curriculum recante una data successiva rispetto a quella di nomina della Commissione e del relativo commissario, ciò che appare ulteriore indice della scarsa trasparenza dell’azione amministrativa).
Vero che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 63 del 26 marzo 2008, il legislatore nazionale prevede, ora, che “le regioni istituiscono apposite commissioni, con il compito di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico .....”, senza più riferimento specifico alla possibilità di prevedere la costituzione di una o più commissioni regionali; ma, oltre a trattarsi di jus superveniens, come tale non rilevante, ratione temporis, nella presente controversia, vi è anche da osservare che il riferimento è pur sempre fatto, al plurale, alla istituzione di “apposite commissioni”.
A ciò si aggiunga, ad ogni buon conto e a tutto concedere, che, se anche, in via di astratta ipotesi, fosse stato possibile prescindere, (e non lo era) nella nomina della Commissione, della previa emanazione di apposita disciplina normativa regionale, non di meno si poneva, comunque, il problema della designazione dei componenti “laici” della Commissione; in base all’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989 questa spettava, infatti, al Consiglio regionale; con la conseguenza che non è dato, comunque, comprendere sulla base di quale disposizione normativa la Giunta si sia direttamente attribuito il potere di designazione dei membri stessi, sottraendolo al Consiglio senza alcuna indicazione di rilievo normativo al riguardo da parte di quest’ultimo; è vero che, ai sensi dell’art. 8 della l.r. n. 31 del 1998, alla Giunta, al Presidente e agli Assessori competono “le nomine, designazioni e atti analoghi a essi attribuiti da specifiche disposizioni”, ma la designazione dei predetti membri era rimessa, come si ripete, al Consiglio e nessuna norma ne ha successivamente rimesso la competenza alla Giunta.
Al più, dette designazioni avrebbero potuto, allora, logicamente configurarsi - nell’ottica di cui al citato art. 8 della l.r. n. 31 del 1998, che si è conformato, in effetti, ai dettami di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 80 del 31 marzo 1998 - alla stregua di meri atti di gestione; ma, in tale ottica, le stesse avrebbero dovuto far capo al competente dirigente e non certo alla Giunta.
Appare, sempre al riguardo, anche singolare il fatto che la Giunta abbia ritenuto superato, a seguito dell’entrata in vigore della disciplina del 2006, modificativa dell’art. 137 del Codice, quanto previsto dall’art. 33 della l.r. n. 45 del 1989 nella sola parte relativa alla composizione dell’organo e non, invece, in quella relativa alla rimessione alla Giunta stessa della nomina dei membri delle Commissioni provinciali; anche in tal caso non si vede, infatti, sulla base di quali criteri interpretativi certi, con una sorta di ritenuta ultrattività claudicante e a macchia di leopardo, si sia considerata rimasta ferma, di detto art. 33, solo la parte relativa alla competenza giuntale nella costituzione dell’organo; a tanto ostando, invero, da un lato, la considerazione del fatto che la competenza della Giunta di cui al ripetuto art. 33 afferiva alle Commissioni provinciali dalla stessa legge n. 45 del 1989 disciplinate, mentre, nella specie, si è trattato della nomina di una Commissione non provinciale, bensì regionale, introdotta, per la prima volta, dall’art. 7 del d.lgs. n. 157 del 2006, modificativo del ripetuto art. 137 del Codice (sicché la Giunta ha finito per appropriarsi, al di fuori di ogni supporto normativo regionale, della potestà di nomina di un organo nuovo e diverso da quello in precedenza disciplinato dalla stessa normativa regionale di settore) e, dall’altro, ciò ha fatto senza neppure tenere conto dei citati assetti normativi di cui al d.lgs. n. 80 del 1998 ed alla legge regionale n. 31 del 1998.
Deduce, ancora, l’appellante che, a mente dello stesso art. 33 della l.r. n. 45/1989, le Commissioni sulla base di esso nominate sarebbero automaticamente cessate dalle loro funzioni novanta giorni dopo l’insediamento del Consiglio regionale di nuova elezione; con la conseguenza che, se non si fosse proceduto alla nomina dell’organo, non sarebbe stato possibile esercitarne la funzione.
Anche tale notazione critica è priva di consistenza dal momento che, come si è visto, la norma statale non inibiva affatto l’ultrattività del precedente assetto normativo fino a che le Regioni interessate non si fossero adeguate nel rispetto delle regole di produzione normativa proprie dei rispettivi ordinamenti; sicché la Regione appellante (nelle more dell’approvazione della disciplina contenuta nello schema normativo di cui si è detto) ben avrebbe potuto procedere alla nomina delle nuove Commissioni sulla base della disciplina corrente al momento dell’entrata in vigore della normativa di fonte statale (quella del 2004 prima e quella del 2006 poi); se ciò non ha fatto nei novanta giorni dall’insediamento del Consiglio regionale, imputet sibi, la negligenza nel provvedere non potendo giustificare non solo la paralisi dell’organo, ma, a maggior ragione, neppure l’adozione di provvedimenti extra ordinem, difformi dagli assetti normativi primari di settore che lo stesso legislatore statale ha inteso, in effetti, salvaguardare fino al momento dell’adeguamento normativo da parte della Regione (e senza neppure l’indicazione, a tal fine, di eventuali poteri sostitutivi statali in caso di mancato sollecito adeguamento regionale).
Sicché, nel momento in cui la stessa Regione, mossa dall’urgenza, ha avvertito l’esigenza di nominare l’organo consultivo, ben avrebbe potuto procedere avvalendosi, appunto, delle norme vigenti al momento di entrata in vigore della novella normativa statale, ovvero accelerare tenuto conto della novella di cui al d.lgs. n. 157 del 2006, l’approvazione, con le debite modifiche, del citato disegno di legge; il semplice venire a scadenza delle Commissioni non determina, infatti, certamente il venir meno dell’organo previsto dalla legge, ma solo l’esigenza della sua ricostituzione.
Né possono in qualche misura rilevare i richiami fatti alla disciplina regolante la materia in altre Regioni, dal momento che si tratta di assetti normativi specifici di tali enti territoriali, che in nessuna misura possono ridondare sull’interpretazione di norme proprie della Regione Sardegna.
Per i suesposti motivi è da ritenere che correttamente, con la sentenza appellata, il TAR abbia annullato l’atto di nomina della Commissione e, in via derivata, le determinazioni da essa assunte, nonché il provvedimento regionale (delibera di Giunta 22 agosto 2007, n. 31/12, recante dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico delle aree in questione) principalmente oggetto di gravame, in quanto fondato su di un parere necessario reso da organo illegittimamente costituito.
Al travolgimento dell’atto costitutivo della Commissione si ricollega, logicamente, e tra gli altri, anche il travolgimento della disciplina regolamentare (adottata il 6 febbraio 2007) che la Commissione si è autonomamente data non solo in assenza di ogni disciplina primaria o secondaria al riguardo, ma anche in sostanziale difformità dal disposto di cui all’art. 137 del Codice, tale norma prevedendo una competenza funzionale degli organi amministrativi ivi contemplati, laddove la detta disciplina regolamentare ha consentito, in effetti (in assenza di ogni supporto normativo al riguardo), di derogare a tale principio, prevedendo la nomina di supplenti che, nella specie, hanno consentito ad un delegato del Soprintendente per i Beni architettonici e per il Paesaggio di partecipare, tra le altre, alla seduta conclusiva dell’organo, nel corso della quale il parere di cui si tratta è stato definitivamente deliberato.
Si aggiunga, inoltre, che l’appello non reca specifiche censure involgenti l’annullamento, pure operato dal TAR in correlazione all’annullamento della costituzione della Commissione regionale, delle impugnate delibere di Giunta n. 1/2 del 9 gennaio 2007 (recante “progetto di valorizzazione dell’area archeologica in località Tuvixeddu- Cagliari. Realizzazione “Porta del Parco”) e n. 5/23 del 7 febbraio 2007 (recante “Realizzazione parco archeologico di Karalis e progetto di valorizzazione del colle di Tuvixeddu nella città di Cagliari – articoli 96, 98 e 100 del D. Lgs. 22.1.2004 n. 42”); in relazione all’annullamento di tali determinazioni deve, quindi, ritenersi formato il giudicato interno.
Se ed in quanto, poi, la Regione intenda, nel prosieguo, riavviare una procedura volta all’estensione del vincolo, ciò potrà fare solo tenendo conto di tutto quanto precede, nonché delle notazioni e indicazioni, di carattere essenzialmente formale, che seguono (volte, all’occorrenza, ad indirizzare il futuro operato dell’amministrazione) e rinnovare, per l’effetto, integralmente e ab origine la necessaria attività istruttoria avvalendosi degli organi tutti all’uopo competenti; ciò che esime il Collegio dal verificare se l’attività istruttoria e valutativa ad oggi posta in essere dalla Regione stessa – in quanto interamente travolta dal giudicato amministrativo - sia stata o meno connotata, in se e per se considerata, sotto il profilo contenutistico, da astratti indici di legittimità; non senza considerare, peraltro, al riguardo che, con l’appello, sono rimaste prive di puntuale critica sia le notazioni fornite dal TAR in ordine alla mancata presa in concreta considerazione, da parte della Commissione, dei “lavori imponenti” eseguiti dal Comune e di quelli, pure rilevanti, eseguiti dai privati in base ad appositi titoli edificatori, sia quelle inerenti alla mancata considerazione del fatto che emergenze archeologiche nuove, specificamente inerenti le aree da assoggettare a vincolo, non risultavano appurate, con la conseguente inadeguata istruttoria al riguardo (non senza considerare, comunque, che la Sovrintendenza archeologica, chiamata a monitorare costantemente le aree oggetto delle opere cantierate, è pur sempre in grado di paralizzare le stesse in presenza di appurate, eventuali nuove emergenze archeologiche).
5) – A questo punto giova aggiungere, per completezza, tenuto conto degli ora cennati profili formali relativi all’attività posta in essere dall’amministrazione regionale, che l’illegittimità delle impugnate determinazioni non solo è riconducibile a quanto sin qui indicato, ma anche al fatto che, come correttamente rilevato dal TAR (e al contrario di quanto ritenuto dall’appellante), nel caso in esame la “consultazione” del Comune ha avuto, in effetti, un rilievo solo formale, dal momento che la Commissione - giusta quanto emerge dai suoi lavori e, in particolare, dai verbali delle sedute del 29 gennaio 2007 e del 21 febbraio 2007, nel corso delle quali il Comune è stato sentito – non ha tenuto in debito conto (tanto da non fornire, a ben vedere, alcuna motivazione al riguardo) quanto da quella stessa Amministrazione prospettato circa le problematiche legate allo stravolgimento della locale programmazione urbanistica e, in particolare, al marcato ridimensionamento dell’accordo di programma quadro sottoscritto nel 2000, ai rilevantissimi conseguenti oneri per il Comune stesso (correlati anche all’onerosa restituzione ai privati delle aree), agli affidamenti che, negli anni, sono venuti consolidandosi al riguardo (anche a cagione della parziale esecuzione di una mole rilevante di lavori), occasionati dalle scelte (di cui al predetto accordo di programma) concordate non solo tra privati e Comune, ma anche e soprattutto con la stessa Regione e la locale Soprintendenza ai beni archeologici.
Per meglio dire, tali problematiche, sollevate da talun commissario (vedi, in particolare, la nota in data 12 febbraio 2007, n. 1048, del Soprintendente per i Beni archeologici di Cagliari e Oristano) ed evidenziate dal Comune nel corso della sua consultazione, sono state, di fatto, accantonate dal predetto organo consultivo, avendo ritenuto, in effetti, la Commissione di dover incentrare i propri compiti sui soli aspetti paesaggistico-ambientali, rimettendo ai competenti uffici regionali ogni apprezzamento in merito alla compatibilità del vincolo con gli aspetti legati alla locale disciplina urbanistica e al predetto accordo di programma (tanto risulta, tra l’altro, dalla nota 20 febbraio 2007, prot. L/566 inviata dal Direttore generale dell’Area legale della Regione alla Presidenza della Giunta).
E, quanto alla Giunta regionale, essa non ha operato alcuna preventiva e fattiva consultazione con gli organi comunali, essendosi limitata a prendere in considerazione – nell’esercizio dei compiti inerenti all’esame delle osservazioni proposte ai sensi dell’art. 139, comma 5, del Codice – i rilievi critici formulati dal Comune stesso, ma al di fuori di ogni modalità di reale, preventiva consultazione e connesso preliminare scambio di informazioni tra uffici regionali e comunali e ricerca di un possibile accordo; consultazione che, in definitiva, è sostanzialmente del tutto mancata e ciò in aperto contrasto con quei principi di leale collaborazione e cooperazione che, specie nell’attuale assetto costituzionale, conseguente alla riforma del Titolo V (art. 114 e sgg.) della Costituzione, debbono conformare i rapporti tra gli “enti autonomi” dai quali è “costituita” la Repubblica.
Principi collaborativi formalizzati dall’art. 132, comma 1, del Codice (a mente del quale: “le amministrazioni pubbliche cooperano per la definizione di indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione, recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio e di gestione dei relativi interventi”) e dal successivo art. 138 (secondo cui la Commissione, nell’espletamento della propria attività preparatoria, “procede alla consultazione dei comuni interessati”).
E, nel rispetto di tali principi collaborativi, la Commissione (o, comunque, gli organi regionali competenti) non avrebbe neppure potuto trascurare il fatto che, ai sensi dell’art. 112 del d.lgs. n. 42 del 2004, come modificato dal d.lgs. n. 156 del 2006 (“valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica”) “lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali assicurano la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi indicati all'articolo 101, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal presente codice”; e che detto art. 101 prevede, a sua volta, che “Ai fini del presente codice sono istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali”; e che tale valorizzazione avviene attraverso la stipula di appositi accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica.
Ebbene, è vero che l’accordo di programma del 2000 è stato stipulato in un momento antecedente all’introduzione di tale tipologia di accordi; non di meno, esso costituiva un progetto – inquadrabile tra gli accordi di cui all’art. 11 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 e al cui perfezionamento, come si ripete, aveva partecipato la stessa Regione ed al quale le Soprintendenze statali, specie quella archeologica, avevano fattivamente contribuito - di riqualificazione urbana e ambientale dei Colli di S. Avendrace, finalizzata anche alla realizzazione di un parco archeologico e di un apposito museo, anche questo destinato ad essere paralizzato dai contestati interventi regionali; sicché la Regione non poteva ignorare tale rilevante circostanza e venire a paralizzare, di fatto, anche tale significativo intervento culturale - collocantesi, comunque, nella stessa ottica di quei progetti culturali, particolarmente significativi anche nell’interesse del Comune e della locale collettività, che il legislatore ha inteso, con le norme anzidette, debitamente valorizzare – senza neppure tentare la ricerca delle soluzioni più adeguate, consultando le altre parti coinvolte dall’accordo stesso e tenendo debito conto, al riguardo, delle rilevanti opere già realizzate dal Comune, ovvero dai privati (e in conformità, per questi ultimi, con titoli concessori mai rimossi).
La consultazione prevista dal Codice non può essere rivista, invero, alla stregua di un mero onere di carattere formale ché, a soddisfare un’esigenza siffatta, varrebbe, comunque, la possibilità, accordata (sulla base di risalenti principi normativi) dall’art. 139 del Codice stesso, di proporre osservazioni al piano paesaggistico adottato, con il correlato onere per l’autorità adottante di fornire adeguate risposte al riguardo.
Con l’onere di consultazione, invero, il legislatore nazionale ha inteso introdurre un più ampio concetto di reciproco rapporto collaborativo tra le amministrazioni interessate, con la conseguenza che i mutati orientamenti in materia paesaggistica maturati dall’organo competente all’imposizione del vincolo non possono più essere calati autoritativamente sulle realtà locali, incidendone gli assetti urbanistici in corso, se non previa consultazione delle amministrazioni locali stesse e, quindi, quanto meno con il tentativo di ricerca di idonei accordi con tali primari interlocutori e tenendo debito conto, quindi, degli interessi pubblicistici potenzialmente incisi dalla pianificazione in itinere.
Consegue, da quanto precede, che ai molteplici rilievi sollevati dal Comune nelle due riunioni alle quali è stato invitato, non solo avrebbe dovuto essere data risposta immediata attraverso tentativi di ricerca di punti di incontro, ma la Regione – e per essa, quanto meno, la ripetuta Commissione regionale – avrebbe dovuto anche tentare di individuare eventuali punti di possibile convergenza; viceversa, la Commissione stessa, come si ripete, si è espressamente sottratta a un onere siffatto, mentre la Giunta si è limitata solo a fornire risposte alle osservazioni del Comune, ma al di fuori degli assetti logico-procedimentali e collaborativi (di carattere preventivo e non successivo rispetto all’adottando vincolo) che il Codice ha inteso privilegiare.
6) – Ulteriori motivi di gravame si appuntano avverso il capo della sentenza impugnata con il quale il TAR ha ritenuto fondate le censure – pure di carattere formale - di sviamento di potere sollevate dalla parte ricorrente in primo grado.
Al riguardo, sarebbe erronea, ad avviso dell’appellante, la sentenza appellata nella parte in cui ha ritenuto che la procedura di cui si tratta fosse affetta da sviamento di potere; sviamento che il TAR ha rilevato nell’attività sia della Commissione che dell’amministrazione regionale; l’esistenza di tale vizio si desumerebbe, ad avviso dei primi giudici, oltre che da una serie di comportamenti adottati nel corso del procedimento, anche dal fatto che nella delibera n. 31/12 del 22 agosto 2007 – impositiva del vincolo - è stato fatto riferimento alla volontà della Regione di avviare il progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree in questione, secondo le indicazioni contenute nello studio del prof. Gilles Clement; sennonché, né la Commissione, né la Regione avrebbero mai utilizzato i propri poteri per fini diversi da quelli per i quali sono stati loro conferiti (né vi sarebbe indizio alcuno confortante l’ipotesi di esistenza dello sviamento stesso).
Anzitutto, osserva, ancora, l’appellante, il riferimento al predetto studio non avrebbe affatto il valore indicato dal TAR, in quanto si tratterebbe di un semplice studio a carattere orientativo che potrà, solo se del caso, essere utilizzato; e tale studio, inoltre, sarebbe stato successivo alla proposta della Commissione del 21 febbraio 2007, essendo stato presentato solamente a giugno 2007 e, soprattutto, non alla Regione Sardegna, ma in occasione di una manifestazione culturale.
Inoltre, viene ancora dedotto, già il P.P.R. approvato il 5 settembre 2006 con delibera di G.R. n. 36/7 avrebbe individuato l’area in questione come sistema storico-culturale rappresentante la più significativa relazione esistente tra viabilità storica, archeologica ed altre componenti di paesaggio aventi valenza storico-culturale; e, tutto ciò considerato, non potrebbe affermarsi, come sostiene, invece, il TAR, che la volontà di apporre il vincolo sarebbe funzionale alla realizzazione di un progetto che non c’era al momento della presentazione della proposta di vincolo; e, dall’altra parte, quanto affermato dal TAR sarebbe chiaramente smentito dal fatto che la Regione avrebbe avviato recentemente il procedimento che dovrebbe consentire di giungere anche alla nuova definizione dell’assetto dell’area mediante una progettazione che attui le azioni di valorizzazione e tutela volute dal vincolo (determinazione 29 ottobre 2007, n. 1255, non facente riferimento al progetto Clement).
Nel caso di specie, si conclude, tutti gli indizi che il TAR ha indicato come utili al fine di provare lo sviamento di potere evidenzierebbero, in realtà, solo la volontà regionale di perseguire il fine legittimo e previsto dalla legge di tutelare l’area in questione nel suo complesso, prima della sua irrimediabile compromissione.
Dette doglianze appaiono pure prive di consistenza.
Non rileva, invero, il fatto che, almeno stando alla lettura degli atti, la Commissione, nel corso dei propri lavori, non abbia tenuto conto di alcun progetto riconducibile al predetto studioso; ciò che rileva è, invece, che la Giunta, di sua iniziativa, nel fare proprio il parere espresso dalla Commissione regionale, abbia finalizzato puntualmente la propria azione alla realizzazione del progetto di tutela, conservazione e ripristino delle aree di cui si tratta “secondo le indicazioni contenute nello studio del prof. Gilles Clement”; e, se è stato richiamato, formalmente, nella stessa deliberazione di imposizione del vincolo, detto studio, è evidente che lo stesso doveva essere ben noto alla Regione nei suoi specifici contenuti e, logicamente, doveva averne avuto sostanziale approvazione, non essendo credibile che un progetto di riqualificazione areale di così vasta portata e di ampio contenuto paesaggistico, storico-archeologico e culturale, oltre che urbanistico, possa essere stato richiamato nell’impugnata delibera senza che di esso la stessa Regione fosse pienamente consapevole e non ne avesse condiviso i peculiari contenuti; sennonché, non è dato comprendere – né alcuna indicazione in tal senso è fornita negli atti oggetto di giudizio – in che modo, in assenza di alcuna formale iniziativa al riguardo ed in difetto di ogni indicazione atta a consentire un idoneo scrutinio di legittimità della scelta così operata, possa essere stato individuato detto progetto e possa esserne stata prescritta l’osservanza; e, quanto al riferimento fatto dall’appellante all’approvato P.P.R., si tratta di riferimento privo di rilevanza non comprendendosi la correlazione esistente tra detto P.P.R. ed il progetto anzidetto, richiamato dall’impugnata delibera di Giunta.
È, quindi, da ritenersi che correttamente i primi giudici abbiano ritenuto la circostanza ora detta (specifico riferimento al progetto del prof. Clement, contenente, tra l’altro, specifiche indicazioni operative che, se attuate, avrebbero inciso in termini sostanziali sul ripetuto accordo quadro) sintomo di grave eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, dal momento che l’imposizione del vincolo, con l’abbandono dei precedenti assetti progettuali concordati, appare preordinata, espressamente, alla realizzazione delle finalità al vincolo stesso sottese anche attraverso la conformazione a indicazioni contenute in uno specifico progetto di non definita origine; con la conseguenza che l’azione amministrativa, in quanto finalizzata al conseguimento di una finalità non conforme a legge (realizzazione, in sede di attuazione del vincolo, di un progetto di non definita origine e di non precisate fonti approvative), deve ritenersi affetta dal cennato vizio sintomatico; mentre non rileva che, nel prosieguo dell’azione amministrativa stessa, la conformazione al detto progetto non avrebbe avuto concreto seguito, dal momento che si tratta di circostanze maturate successivamente e irrilevanti ai fini dell’effettuazione dello scrutinio di legittimità degli atti impugnati.
A tutto quanto precede si aggiunga, ancora, che il TAR ha segnalato (pagg. 55 e sgg.) una serie di altri indizi pure manifestamente sintomatici del dedotto vizio di eccesso di potere in relazione ai quali fa difetto, nell’appello, ogni puntuale contestazione; con la conseguente formazione, anche a questo riguardo, del giudicato amministrativo.
7) – Per i motivi che precedono l’appello in epigrafe deve essere respinto.
La Regione appellante va, poi, condannata al pagamento delle spese del grado a favore della società Nuove Iniziative Compresa s.r.l., mentre le stesse possono essere compensate nei confronti delle altre parti, liquidandole nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge l’appello in epigrafe.
Condanna la Regione al pagamento delle spese del grado a favore della società Nuove Iniziative Compresa s.r.l., liquidandole in complessivi € 12.000,00 (dodicimila/00); compensa le spese con riguardo alle altre parti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2008 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
GIUSEPPE BARBAGALLO Presidente
PAOLO BUONVINO Consigliere Est.

ROBERTO CHIEPPA Consigliere
FRANCESCO BELLOMO Consigliere
CLAUDIO CONTESSA Consigliere

Presidente
GIUSEPPE BARBAGALLO
Consigliere Segretario
PAOLO BUONVINO VITTORIO ZOFFOLI



DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 4/08/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
p.Il Direttore della Sezione
GLAUCO SIMONINI