Mi sfugge qualcosa.
Ho letto dei commenti al mio articolo precedente che mi stanno dando da pensare.
Mi sembra che il tutto si stia restringendo al fatto che, se la legge lo consente, si possono usare tutti gli additivi del mondo.
Un commento si basa, sopratutto su tre punti:
1- Le sostanze ritrovate nel (si fa per dire) vino sequestrato essendo consentite per legge, si possono usare e, come sempre, i magistrati non capiscono niente (Corpo Forestale & NAS idem) a quanto sembra.
2- Nessun prodotto alimentare è immune dagli "additivi"
3- Il vino (??) in fondo è solo annacquato.
Sicuramente mi sono perso qualcosa o hanno cambiato il mondo e non me ne sono accorto.
Innanzitutto mi sembra che si stia tentando di spostare l'attenzione dalla luna al dito che la indica, nel senso che queste precisazioni mi puzzano di difesa d'ufficio, utile, come sempre accade quando ci sono di mezzo i soldi (se no a che servono le truffe?) per salvare facce, benefit presenti & futuri e (qualche volta anche) fedine penali.
Con questo non voglio assolutamente dire che chi porta simili argomentazioni sia "in combutta" con questi (eufemismo) truffatori; voglio solo dire che sono le argomentazioni che sembrano nascondere una difesa d'ufficio.
Per il secondo punto c'è soltanto da gioire: visto che di additivi sono pieni tutti i cibi, mettiamone anche nel vino, tanto la legge lo permette.
Se poi fosse "solamente" annacquato, pensate che la cosa si possa minimizzare come si tenta di fare?
Mi sembra di ricordare che per reati di questo genere nell'antichità ci andavano giù pesanti; oggi, grazie alla globalizzazione (termine usato per nascondere ogni genere di nefandezza) il reato viene, a quanto si legge, moralmente derubricato.
Stiamo cadendo sempre più in basso.
Vorrei farvi un esempio mutuato dal mondo dello spettacolo, settore dove ne potrei raccontare delle belle.
Per lanciare un prodotto (oggi è definito così un artista), è necessario che la critica ne dia un giudizio positivo.
Capita (più spesso di quanto si pensi) che ci si ritrova a dover lanciare dei prodotti "discutibili" (leggere bidoni che non sanno nemmeno cantare) i quali, senza l'imprimatur degli "addetti ai lavori", sarebbe difficile lanciare se non nel cassonetto.
Quindi si fa recensire il prodotto da un esperto che ne loda le qualità intrinseche, l'eccezionale caratura artistica, l'intrinseco valore e amenità assortite (purchè abbastanza roboanti), quindi, forti di questa presentazione, lo si lancia nel mercato sapendo benissimo che il grosso pubblico soffre della sindrome di emulazione e quindi correrà ad acquistarlo.
Trattasi del solito "se piace ad un fico, deve piacere anche a me, diversamente non sono un fico e lo voglio essere".
Un discorso da tamarri di periferia ma, purtroppo questa è la legge dei grandi numeri: se pubblicizzi bene e abbastanza un prodotto, questo magicamente diventerà quello che vuole sembrare (agli occhi dell'acquirente medio).
E' chiaro che sto parlando di grandi numeri, di massa e non di singoli che usano ancora il proprio cervello per ragionare.
Se poi, per caso, qualcuno scopre che il nostro prodotto (artista) è fasullo (non canta veramente lui, oppure altro) e pubblica la notizia, i primi che ci rimettono in credibilità sono i critici e, con la credibilità, spesso, ci rimettono anche una grossa fetta di benefit (sempre ufficiosi).
Si sa che il critico, se non riceve uno stipendio, deve trovarsi un lavoro vero.
Quindi vien da sè che, in casi come questi, per primi i critici cercano di buttare acqua sul fuoco a più non posso; ciò non per salvaguardare il prodotto, bensì per salvaguardare loro stessi.
Questa si potrebbe chiamare la parabola della proprietà della moltiplicazione: cambiando l'ordine dei fattori (artista, vino, eccetera), il prodotto non cambia.
Niente di nuovo sotto il sole (purtroppo).